guardrail
2006-01-18 21:53:52 UTC
Eccomi allora con un altro argomento.
A quale velocità viaggiava la gente nel medioevo?
Basta dare un'occhiata ai valori estremi per convincersi che
non è facile calcolare una «media». L'efficiente servizio di
corrieri e staffette nel regno mongolo copriva la distanza di
trecentosettantacinque chilometri in ventiquattrore (la posta
statale romana, il cursus publicus, arrivava «solo» a trecento
trecentocinquantacinque chilometri). C'erano però anche
gli storpi che si trascinavano avanti pochi centimetri alla volta,
aiutandosi con degli «sgabellini» che servivano a non scorticar
si le mani sulla strada.
I miracoli di sant'Elisabetta, che costituiscono una fonte pre
ziosa anche per la storia dei viaggi, narrano di uno storpio di
ventun anni, il quale nel 1232 in cinque settimane trascinò il
proprio corpo paralizzato da Grunberg, nell'Assia, fino a
Marburg, a ventotto chilometri di distanza in linea d'aria e circa
trentacinque chilometri di strada.
La velocità dei viaggi medievali andava quindi da uno a più di
cento chilometri al giorno!
La maggior parte delle persone fino al XIX secolo viaggiò a
piedi; camminando a una velocità di quattro o anche sei chilo
metri all'ora, potevano percorrere dai trenta ai quaranta chilo
metri al giorno. A cavallo si potevano raggiungere i cinquanta-
sessanta chilometri in un giorno.
Questi dati non vanno però generalizzati, come si può spiegare
con un esempio: ai milleduecento chilometri in linea d'aria tra
Hildesheim e Roma dovevano corrispondere nel medioevo co
me minimo millecinquecento chilometri di strada.
Dividendo questa distanza per trenta e per cinquanta (ossia le
prestazioni giornaliere più basse dei pedoni e dei cavalieri) si
ottiene rispettivamente cinquanta e trenta giorni.
I viandanti che a piedi riuscivano a fare millecinquecento chilo
metri in sette settimane dovevano essere ben pochi.
E Bernardo di Hildesheim, che sicuramente aveva a disposizio
ne buoni cavalli, impiegò più di due mesi all'andata (dal 2 no
vembre del 1000 al 4 gennaio del 1001, passando per Trento)
e un po' meno di due mesi al ritorno (dal 16 febbraio al 10 apri
le del 1001, passando per St. Maurice d'Agaune, nella valle
superiore del Rodano).
Rubruk, al ritorno dalla sua missione dal Gran Kahn dei mongoli,
fu molto più veloce: dal campo sul Karakorum fino al medio
Volga egli impiegò circa dieci settimane (dal 9 luglio al 16 settem
bre, quattromila chilometri circa in linea d'aria), viaggiando quin
di a una media di quasi sessanta chilometri al giorno. L'afferma
zione di Rubruk secondo cui egli avrebbe percorso ogni giorno
a cavallo una distanza pari a quella tra Parigi e Orléans (cento
dieci chilometri in linea d'aria) sembra essere quindi del tutto in
verosimile.
Il calcolo della media non corrisponde però alla realtà, perché
non considera né i giorni di riposo (volontari o comandati) né le
soste più lunghe di cui sempre si parla nei racconti di viaggio.
Uomini e animali hanno bisogno di riposo; c'è chi desidera gode
re dell'ospitalità dei parenti, chi vuole visitare le chiese e venera
re le reliquie locali, chi vuole assistere a una fiera e prendere con
tatti con i colleghi d'affari; altri ancora vengono trattenuti da una
malattia, dalla piena, dalla neve, da gabellieri malvagi; viene loro
rubato il cavallo, litigano con l'oste, il traghetto cola a picco.
Progettare realisticamente un viaggio, sia in montagna sia soprat
tutto in mare, significa mettere in conto i ritardi. Percorrere gior
nalmente quattro o cinque chilometri in alta montagna, tenendo
conto delle condizioni del tempo, della stagione e della propria
costituzione fisica, poteva essere già una prestazione considere
vole.
Per il tratto da Coira a Bellinzona (circa ottanta chilometri in li
nea d'aria), attraverso il passo del San Bernardino, si dovevano
calcolare come minimo dai quattro ai sei giorni; ancora nella pri
ma metà del XIX secolo un'elegante carrozza da viaggio impie
gava una settimana a percorrere il tratto da Innsbruck a Bregenz
attraverso il Passo Arlberg (centotrenta chilometri in linea d'aria).
Per il viaggiatore di terra trenta chilometri al giorno rappresenta
vano una buona media. Anche chi andava a cavallo riusciva a
percorrere più di trecento chilometri in dieci giorni solo se cam
biava i cavalli durante il tragitto e se rinunciava per quattro o an
che sei giorni di fila a prendersi un giorno di riposo.
Soltanto a partire dal XVIII secolo i ceti superiori, e in misura
sempre maggiore anche i ceti medi, poterono viaggiare più velo
cemente grazie al miglioramento delle strade, all'istituzione delle
stazioni di posta per il cambio dei cavalli e all'impiego di carroz
ze da viaggio abbastanza comode; solo l'avvento della motoriz
zazione nei secoli XIX e XX apportò un radicale mutamento
della circolazione.
Nella navigazione i ritardi erano assolutamente imprevedibili.
Spesso dovevano trascorrere giorni di incessanti preghiere prima
che soffiasse il «vento propizio».
Nel 1249 Luigi il Santo impiegò ventitre giorni interi a percorrere
la rotta fra Cipro e Damietta (quattrocento chilometri) invece dei
soliti tre giorni.
Marco Polo fu costretto dal maltempo a una sosta obbligata di
cinque mesi a Sumatra.
Benché il calcolo della media giornaliera risulti problematico (an
che a causa della diversa durata del giorno in estate e in inverno),
esistevano comunque alcuni dati suffragati dall'esperienza in base
ai quali le autorità laiche ed ecclesiastiche, le persone e le corpo
razioni che dovevano spesso inviare messaggi urgenti potevano
regolarsi.
La «media» relativamente bassa nei viaggi marittimi si spiega in
nanzi tutto col fatto che le navi tenevano di rado la rotta ideale;
lungo il tragitto si scendeva spesse volte a terra. Da Lubecca a
Bergen la durata della sola navigazione era di nove giorni, ma il
viaggio durava complessivamente dalle tre alle quattro settimane.
Con il vento favorevole, navigando giorno e notte, si potevano
percorrere in una settimana fino a millequattrocento chilometri
(da Lisbona alle Isole Canarie).
La nave di Gokstad, ricostruita sul modello vichingo, con la qua
le nel 1893 si fece la traversata dell'Atlantico, aveva una vela e
ventotto rematori su un equipaggio di sessanta uomini. Essa sal
pò da Bergen il 30 aprile e giunse a Neufundiand il 27 maggio.
I norvegesi conoscevano bene i venti e le correnti e possedeva
no strumenti moderni e carte nautiche. Ciò nonostante essi riu
scirono a percorrere questo tratto di circa quattromiladuecento
chilometri a una media di «soli» centocinquanta chilometri gior
nalieri.
Nel XII secolo Ibn Jobair, un viaggiatore arabo, impiegò trenta
giorni da Ceuta ad Alessandria; lungo il tragitto la sua nave fece
rotta verso le Baleari, la Sardegna, la Sicilia e Creta (circa tremi
laottocento chilometri). Il viaggio di ritorno non fu propizio.
A causa del maltempo la nave impiegò cinquanta giorni solo per
andare da Acri a Messina (duemila chilometri). Jobair riferisce
che i passeggeri soffrirono molto la fame; i più previdenti fra loro
avevano portato con sé provviste per trenta giorni, altri per venti
o tutt'al più per quindici giorni.
Chi aveva fatto scorta per venti giorni calcolava quindi di per
correre cento chilometri al giorno; chi si era rifornito per quin
dici giorni supponeva di farne addirittura centotrenta. Il viaggio
descritto da Jobair durò quindi, per un lungo tratto, ben tre vol
te di più di quanto gli ottimisti si aspettassero.
Questo resoconto corrisponde ai dati basati sull'esperienza tra
mandati dalle città marinare italiane. Da Venezia a Candia (Creta,
circa milleseicento chilometri) ci volevano, col vento particolar
mente propizio, diciotto giorni, in estate di norma dai ventitré ai
trenta giorni, d'inverno dai quarantacinque ai sessanta giorni.
Per andare da Genova ad Acri si calcolava un mese (duemila
ottocento chilometri).
Nell'Oceano Indiano il viaggio da Mascate a Caulun (Quilon,
nell'India sudoccidentale) doveva richiedere, in condizioni di ven
to relativamente favorevoli, un mese (duemilacinquecento chilo
metri, corrispondenti a circa ottanta chilometri al giorno).
L'aumento della velocità dei viaggi nel tardo medioevo fu deter
minato da molteplici cause: l'allevamento di cavalli più capaci,
l'istituzione di stazioni di posta per il cambio dei cavalli, la co
struzione di strade e ponti, l'uso regolare dei traghetti, servizi mi
gliori di assistenza per uomini e cavalli lungo il percorso, la co
struzione di navi più veloci (e più comode); se nella prima metà
del XV secolo un corriere espresso da Roma a Firenze (duecen
totrenta chilometri in linea d'aria) impiegava ancora cinque-sei
giorni, nella seconda metà del XVI secolo esso impiegava un
giorno soltanto.
Corrieri espressi straordinari dovettero percorrere in questo pe
riodo dai duecentocinquanta ai trecento chilometri al giorno; in
questo modo l'occidente ricuperò lo svantaggio di secoli rispet
to ai regni asiatici.
Resta da chiedersi se non ci fossero altri metodi meno dispen
diosi e forse più rapidi per trasmettere le notizie.
Widukindo di Corvey nella sua storia dei sassoni racconta che
gli ungari, durante le loro scorrerie in Germania, comunicavano
secondo il loro uso (suo more) mediante segnali di fumo; dun
que nel X secolo nell'impero questo sistema di trasmissione
delle informazioni era assai poco noto.
Secondo Marco Polo i pirati nell'Oceano Indiano facevano se
gnali di fumo da nave a nave per avvertire della presenza di un
bottino.
Durante il suo primo viaggio in America, Colombo osserva che
gli indios comunicavano tra loro mediante segnali di fumo «co
me soldati in guerra». Questo sistema di trasmissione dell'infor
mazione era dunque noto a molti popoli; in occidente esso è
usato ancora oggi nell'elezione del papa.
Ma proprio qui più di una volta il segnale - la fumata bianca o
nera - è stato male interpretato dalla folla in attesa.
Anche nei tempi antichi si conoscevano gli svantaggi del «tele
grafo a fumo»: il messaggio doveva essere il più semplice e ine
quivocabile possibile, del tipo «prepararsi all'attacco» oppure
«siamo in pericolo». Le deboli truppe dell'imperatore tedesco
prese d'assalto nelle città italiane riuscirono più di una volta a
salvarsi appiccando il fuoco; il suo chiarore avvertiva del peri
colo le altre truppe accampate su un vasto raggio attorno alla
città (come a Pavia nel 1004 e a Ravenna nel 1026).
Nel bacino del Mediterraneo il sistema telegrafico mediante se
gnali di fumo e di fuoco si affermò con successo; l'impero bizan
tino ideò una catena di fanali di fuoco sulle cime delle montagne,
per mezzo dei quali si poteva avvertire tempestivamente la capi
tale dell'attacco da parte dei musulmani.
Pare che nel X secolo gli arabi comunicassero nell'arco di un
giorno mediante segnali di fuoco le notizie da Alessandria a
Ceuta (circa tremilacinquecento chilometri in linea d'aria, ma
dato l'andamento della costa il tracciato del «telegrafo» doveva
essere più lungo).
Gli stati partecipanti alle crociate avevano costruito le loro roc
caforti in Terra Santa a una distanza tale che esse fossero visi
bili l'una dall'altra. I segnali di fumo e di fuoco presentavano
comunque anche evidenti svantaggi: venivano scorti dal nemi
co, nella foschia e nella nebbia non si riusciva a riconoscerli e
in pianura era difficile trasmetterli.
In mare si comunicava con le bandiere; Colombo dice a questo
proposito che, di ritorno dal suo primo viaggio in America, cer
cava di notte di mantenere il più a lungo possibile il contatto con
la Nina, la seconda nave per importanza, tramite segnali luminosi.
Egli non si pronuncia sui dettagli, non riferisce ad esempio se in
questo modo venissero trasmesse intere frasi.
Un vero e proprio eliografo fu inventato solo nel 1782 da
Christoph Hoffmann (1721-1807), dieci anni prima del francese
Chappe.
Nel VI secolo Procopio si rammarica nel constatare che «l'arte»
di trasmettere segnali con la tromba sia stata «ora» disimparata.
In guerra gli ordini semplici continuarono a essere trasmessi con
la tromba, anche presso gli ungari, come riferisce la Vita di Ulrico
d'Augusta.
In Africa i tamburi costituirono fino al nostro secolo un mezzo di
comunicazione anche su distanze molto lunghe.
I piccioni viaggiatori furono utilizzati in oriente forse già attorno al
1000 a.C.; essi furono impiegati nel i secolo a.C. per scopi militari
e all'inizio del IV secolo d.C. per scopi civili.
Sebbene i piccioni nell'epoca preindustriale fossero ideali come
mezzo di trasmissione delle notizie - sono veloci, convenienti, facili
da mantenere - essi non furono evidentemente allevati sistematica
mente per creare un servizio postale.
Nei paesi islamici ci si rese conto dei loro pregi nel IX e nel X se
colo. Il sultano Baibars (1260-1277) adottò il sistema postale dei
piccioni viaggiatori in proporzioni mai viste nella lotta contro gli
ultimi baluardi degli stati crociati.
Ciò che per noi, oggi, è divenuto abituale - viaggiare a una velocità
maggiore di quella del suono o comunicare per telefono alla velocità
della luce - per gli uomini dei tempi antichi poteva essere tutt'al più
un sogno; ci si augurava allora forse di entrare in possesso di un
anello che bastava rigirare per essere subito trasportati nel luogo de
siderato.
Norbert Ohler - I viaggi nel Medio Evo - Garzanti
E tu che hai avuto la pazienza di leggere, hai qualche altra notizia
da aggiungere per capire a quale "passo" si viaggiava nel Medioevo?
Guardrail
A quale velocità viaggiava la gente nel medioevo?
Basta dare un'occhiata ai valori estremi per convincersi che
non è facile calcolare una «media». L'efficiente servizio di
corrieri e staffette nel regno mongolo copriva la distanza di
trecentosettantacinque chilometri in ventiquattrore (la posta
statale romana, il cursus publicus, arrivava «solo» a trecento
trecentocinquantacinque chilometri). C'erano però anche
gli storpi che si trascinavano avanti pochi centimetri alla volta,
aiutandosi con degli «sgabellini» che servivano a non scorticar
si le mani sulla strada.
I miracoli di sant'Elisabetta, che costituiscono una fonte pre
ziosa anche per la storia dei viaggi, narrano di uno storpio di
ventun anni, il quale nel 1232 in cinque settimane trascinò il
proprio corpo paralizzato da Grunberg, nell'Assia, fino a
Marburg, a ventotto chilometri di distanza in linea d'aria e circa
trentacinque chilometri di strada.
La velocità dei viaggi medievali andava quindi da uno a più di
cento chilometri al giorno!
La maggior parte delle persone fino al XIX secolo viaggiò a
piedi; camminando a una velocità di quattro o anche sei chilo
metri all'ora, potevano percorrere dai trenta ai quaranta chilo
metri al giorno. A cavallo si potevano raggiungere i cinquanta-
sessanta chilometri in un giorno.
Questi dati non vanno però generalizzati, come si può spiegare
con un esempio: ai milleduecento chilometri in linea d'aria tra
Hildesheim e Roma dovevano corrispondere nel medioevo co
me minimo millecinquecento chilometri di strada.
Dividendo questa distanza per trenta e per cinquanta (ossia le
prestazioni giornaliere più basse dei pedoni e dei cavalieri) si
ottiene rispettivamente cinquanta e trenta giorni.
I viandanti che a piedi riuscivano a fare millecinquecento chilo
metri in sette settimane dovevano essere ben pochi.
E Bernardo di Hildesheim, che sicuramente aveva a disposizio
ne buoni cavalli, impiegò più di due mesi all'andata (dal 2 no
vembre del 1000 al 4 gennaio del 1001, passando per Trento)
e un po' meno di due mesi al ritorno (dal 16 febbraio al 10 apri
le del 1001, passando per St. Maurice d'Agaune, nella valle
superiore del Rodano).
Rubruk, al ritorno dalla sua missione dal Gran Kahn dei mongoli,
fu molto più veloce: dal campo sul Karakorum fino al medio
Volga egli impiegò circa dieci settimane (dal 9 luglio al 16 settem
bre, quattromila chilometri circa in linea d'aria), viaggiando quin
di a una media di quasi sessanta chilometri al giorno. L'afferma
zione di Rubruk secondo cui egli avrebbe percorso ogni giorno
a cavallo una distanza pari a quella tra Parigi e Orléans (cento
dieci chilometri in linea d'aria) sembra essere quindi del tutto in
verosimile.
Il calcolo della media non corrisponde però alla realtà, perché
non considera né i giorni di riposo (volontari o comandati) né le
soste più lunghe di cui sempre si parla nei racconti di viaggio.
Uomini e animali hanno bisogno di riposo; c'è chi desidera gode
re dell'ospitalità dei parenti, chi vuole visitare le chiese e venera
re le reliquie locali, chi vuole assistere a una fiera e prendere con
tatti con i colleghi d'affari; altri ancora vengono trattenuti da una
malattia, dalla piena, dalla neve, da gabellieri malvagi; viene loro
rubato il cavallo, litigano con l'oste, il traghetto cola a picco.
Progettare realisticamente un viaggio, sia in montagna sia soprat
tutto in mare, significa mettere in conto i ritardi. Percorrere gior
nalmente quattro o cinque chilometri in alta montagna, tenendo
conto delle condizioni del tempo, della stagione e della propria
costituzione fisica, poteva essere già una prestazione considere
vole.
Per il tratto da Coira a Bellinzona (circa ottanta chilometri in li
nea d'aria), attraverso il passo del San Bernardino, si dovevano
calcolare come minimo dai quattro ai sei giorni; ancora nella pri
ma metà del XIX secolo un'elegante carrozza da viaggio impie
gava una settimana a percorrere il tratto da Innsbruck a Bregenz
attraverso il Passo Arlberg (centotrenta chilometri in linea d'aria).
Per il viaggiatore di terra trenta chilometri al giorno rappresenta
vano una buona media. Anche chi andava a cavallo riusciva a
percorrere più di trecento chilometri in dieci giorni solo se cam
biava i cavalli durante il tragitto e se rinunciava per quattro o an
che sei giorni di fila a prendersi un giorno di riposo.
Soltanto a partire dal XVIII secolo i ceti superiori, e in misura
sempre maggiore anche i ceti medi, poterono viaggiare più velo
cemente grazie al miglioramento delle strade, all'istituzione delle
stazioni di posta per il cambio dei cavalli e all'impiego di carroz
ze da viaggio abbastanza comode; solo l'avvento della motoriz
zazione nei secoli XIX e XX apportò un radicale mutamento
della circolazione.
Nella navigazione i ritardi erano assolutamente imprevedibili.
Spesso dovevano trascorrere giorni di incessanti preghiere prima
che soffiasse il «vento propizio».
Nel 1249 Luigi il Santo impiegò ventitre giorni interi a percorrere
la rotta fra Cipro e Damietta (quattrocento chilometri) invece dei
soliti tre giorni.
Marco Polo fu costretto dal maltempo a una sosta obbligata di
cinque mesi a Sumatra.
Benché il calcolo della media giornaliera risulti problematico (an
che a causa della diversa durata del giorno in estate e in inverno),
esistevano comunque alcuni dati suffragati dall'esperienza in base
ai quali le autorità laiche ed ecclesiastiche, le persone e le corpo
razioni che dovevano spesso inviare messaggi urgenti potevano
regolarsi.
La «media» relativamente bassa nei viaggi marittimi si spiega in
nanzi tutto col fatto che le navi tenevano di rado la rotta ideale;
lungo il tragitto si scendeva spesse volte a terra. Da Lubecca a
Bergen la durata della sola navigazione era di nove giorni, ma il
viaggio durava complessivamente dalle tre alle quattro settimane.
Con il vento favorevole, navigando giorno e notte, si potevano
percorrere in una settimana fino a millequattrocento chilometri
(da Lisbona alle Isole Canarie).
La nave di Gokstad, ricostruita sul modello vichingo, con la qua
le nel 1893 si fece la traversata dell'Atlantico, aveva una vela e
ventotto rematori su un equipaggio di sessanta uomini. Essa sal
pò da Bergen il 30 aprile e giunse a Neufundiand il 27 maggio.
I norvegesi conoscevano bene i venti e le correnti e possedeva
no strumenti moderni e carte nautiche. Ciò nonostante essi riu
scirono a percorrere questo tratto di circa quattromiladuecento
chilometri a una media di «soli» centocinquanta chilometri gior
nalieri.
Nel XII secolo Ibn Jobair, un viaggiatore arabo, impiegò trenta
giorni da Ceuta ad Alessandria; lungo il tragitto la sua nave fece
rotta verso le Baleari, la Sardegna, la Sicilia e Creta (circa tremi
laottocento chilometri). Il viaggio di ritorno non fu propizio.
A causa del maltempo la nave impiegò cinquanta giorni solo per
andare da Acri a Messina (duemila chilometri). Jobair riferisce
che i passeggeri soffrirono molto la fame; i più previdenti fra loro
avevano portato con sé provviste per trenta giorni, altri per venti
o tutt'al più per quindici giorni.
Chi aveva fatto scorta per venti giorni calcolava quindi di per
correre cento chilometri al giorno; chi si era rifornito per quin
dici giorni supponeva di farne addirittura centotrenta. Il viaggio
descritto da Jobair durò quindi, per un lungo tratto, ben tre vol
te di più di quanto gli ottimisti si aspettassero.
Questo resoconto corrisponde ai dati basati sull'esperienza tra
mandati dalle città marinare italiane. Da Venezia a Candia (Creta,
circa milleseicento chilometri) ci volevano, col vento particolar
mente propizio, diciotto giorni, in estate di norma dai ventitré ai
trenta giorni, d'inverno dai quarantacinque ai sessanta giorni.
Per andare da Genova ad Acri si calcolava un mese (duemila
ottocento chilometri).
Nell'Oceano Indiano il viaggio da Mascate a Caulun (Quilon,
nell'India sudoccidentale) doveva richiedere, in condizioni di ven
to relativamente favorevoli, un mese (duemilacinquecento chilo
metri, corrispondenti a circa ottanta chilometri al giorno).
L'aumento della velocità dei viaggi nel tardo medioevo fu deter
minato da molteplici cause: l'allevamento di cavalli più capaci,
l'istituzione di stazioni di posta per il cambio dei cavalli, la co
struzione di strade e ponti, l'uso regolare dei traghetti, servizi mi
gliori di assistenza per uomini e cavalli lungo il percorso, la co
struzione di navi più veloci (e più comode); se nella prima metà
del XV secolo un corriere espresso da Roma a Firenze (duecen
totrenta chilometri in linea d'aria) impiegava ancora cinque-sei
giorni, nella seconda metà del XVI secolo esso impiegava un
giorno soltanto.
Corrieri espressi straordinari dovettero percorrere in questo pe
riodo dai duecentocinquanta ai trecento chilometri al giorno; in
questo modo l'occidente ricuperò lo svantaggio di secoli rispet
to ai regni asiatici.
Resta da chiedersi se non ci fossero altri metodi meno dispen
diosi e forse più rapidi per trasmettere le notizie.
Widukindo di Corvey nella sua storia dei sassoni racconta che
gli ungari, durante le loro scorrerie in Germania, comunicavano
secondo il loro uso (suo more) mediante segnali di fumo; dun
que nel X secolo nell'impero questo sistema di trasmissione
delle informazioni era assai poco noto.
Secondo Marco Polo i pirati nell'Oceano Indiano facevano se
gnali di fumo da nave a nave per avvertire della presenza di un
bottino.
Durante il suo primo viaggio in America, Colombo osserva che
gli indios comunicavano tra loro mediante segnali di fumo «co
me soldati in guerra». Questo sistema di trasmissione dell'infor
mazione era dunque noto a molti popoli; in occidente esso è
usato ancora oggi nell'elezione del papa.
Ma proprio qui più di una volta il segnale - la fumata bianca o
nera - è stato male interpretato dalla folla in attesa.
Anche nei tempi antichi si conoscevano gli svantaggi del «tele
grafo a fumo»: il messaggio doveva essere il più semplice e ine
quivocabile possibile, del tipo «prepararsi all'attacco» oppure
«siamo in pericolo». Le deboli truppe dell'imperatore tedesco
prese d'assalto nelle città italiane riuscirono più di una volta a
salvarsi appiccando il fuoco; il suo chiarore avvertiva del peri
colo le altre truppe accampate su un vasto raggio attorno alla
città (come a Pavia nel 1004 e a Ravenna nel 1026).
Nel bacino del Mediterraneo il sistema telegrafico mediante se
gnali di fumo e di fuoco si affermò con successo; l'impero bizan
tino ideò una catena di fanali di fuoco sulle cime delle montagne,
per mezzo dei quali si poteva avvertire tempestivamente la capi
tale dell'attacco da parte dei musulmani.
Pare che nel X secolo gli arabi comunicassero nell'arco di un
giorno mediante segnali di fuoco le notizie da Alessandria a
Ceuta (circa tremilacinquecento chilometri in linea d'aria, ma
dato l'andamento della costa il tracciato del «telegrafo» doveva
essere più lungo).
Gli stati partecipanti alle crociate avevano costruito le loro roc
caforti in Terra Santa a una distanza tale che esse fossero visi
bili l'una dall'altra. I segnali di fumo e di fuoco presentavano
comunque anche evidenti svantaggi: venivano scorti dal nemi
co, nella foschia e nella nebbia non si riusciva a riconoscerli e
in pianura era difficile trasmetterli.
In mare si comunicava con le bandiere; Colombo dice a questo
proposito che, di ritorno dal suo primo viaggio in America, cer
cava di notte di mantenere il più a lungo possibile il contatto con
la Nina, la seconda nave per importanza, tramite segnali luminosi.
Egli non si pronuncia sui dettagli, non riferisce ad esempio se in
questo modo venissero trasmesse intere frasi.
Un vero e proprio eliografo fu inventato solo nel 1782 da
Christoph Hoffmann (1721-1807), dieci anni prima del francese
Chappe.
Nel VI secolo Procopio si rammarica nel constatare che «l'arte»
di trasmettere segnali con la tromba sia stata «ora» disimparata.
In guerra gli ordini semplici continuarono a essere trasmessi con
la tromba, anche presso gli ungari, come riferisce la Vita di Ulrico
d'Augusta.
In Africa i tamburi costituirono fino al nostro secolo un mezzo di
comunicazione anche su distanze molto lunghe.
I piccioni viaggiatori furono utilizzati in oriente forse già attorno al
1000 a.C.; essi furono impiegati nel i secolo a.C. per scopi militari
e all'inizio del IV secolo d.C. per scopi civili.
Sebbene i piccioni nell'epoca preindustriale fossero ideali come
mezzo di trasmissione delle notizie - sono veloci, convenienti, facili
da mantenere - essi non furono evidentemente allevati sistematica
mente per creare un servizio postale.
Nei paesi islamici ci si rese conto dei loro pregi nel IX e nel X se
colo. Il sultano Baibars (1260-1277) adottò il sistema postale dei
piccioni viaggiatori in proporzioni mai viste nella lotta contro gli
ultimi baluardi degli stati crociati.
Ciò che per noi, oggi, è divenuto abituale - viaggiare a una velocità
maggiore di quella del suono o comunicare per telefono alla velocità
della luce - per gli uomini dei tempi antichi poteva essere tutt'al più
un sogno; ci si augurava allora forse di entrare in possesso di un
anello che bastava rigirare per essere subito trasportati nel luogo de
siderato.
Norbert Ohler - I viaggi nel Medio Evo - Garzanti
E tu che hai avuto la pazienza di leggere, hai qualche altra notizia
da aggiungere per capire a quale "passo" si viaggiava nel Medioevo?
Guardrail