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Velocità dei viaggi e comunicazioni
(troppo vecchio per rispondere)
guardrail
2006-01-18 21:53:52 UTC
Permalink
Eccomi allora con un altro argomento.
A quale velocità viaggiava la gente nel medioevo?
Basta dare un'occhiata ai valori estremi per convincersi che
non è facile calcolare una «media». L'efficiente servizio di
corrieri e staffette nel regno mongolo copriva la distanza di
trecentosettantacinque chilometri in ventiquattrore (la posta
statale romana, il cursus publicus, arrivava «solo» a trecento
trecentocinquantacinque chilometri). C'erano però anche
gli storpi che si trascinavano avanti pochi centimetri alla volta,
aiutandosi con degli «sgabellini» che servivano a non scorticar
si le mani sulla strada.
I miracoli di sant'Elisabetta, che costituiscono una fonte pre
ziosa anche per la storia dei viaggi, narrano di uno storpio di
ventun anni, il quale nel 1232 in cinque settimane trascinò il
proprio corpo paralizzato da Grunberg, nell'Assia, fino a
Marburg, a ventotto chilometri di distanza in linea d'aria e circa
trentacinque chilometri di strada.
La velocità dei viaggi medievali andava quindi da uno a più di
cento chilometri al giorno!

La maggior parte delle persone fino al XIX secolo viaggiò a
piedi; camminando a una velocità di quattro o anche sei chilo
metri all'ora, potevano percorrere dai trenta ai quaranta chilo
metri al giorno. A cavallo si potevano raggiungere i cinquanta-
sessanta chilometri in un giorno.
Questi dati non vanno però generalizzati, come si può spiegare
con un esempio: ai milleduecento chilometri in linea d'aria tra
Hildesheim e Roma dovevano corrispondere nel medioevo co
me minimo millecinquecento chilometri di strada.
Dividendo questa distanza per trenta e per cinquanta (ossia le
prestazioni giornaliere più basse dei pedoni e dei cavalieri) si
ottiene rispettivamente cinquanta e trenta giorni.
I viandanti che a piedi riuscivano a fare millecinquecento chilo
metri in sette settimane dovevano essere ben pochi.
E Bernardo di Hildesheim, che sicuramente aveva a disposizio
ne buoni cavalli, impiegò più di due mesi all'andata (dal 2 no
vembre del 1000 al 4 gennaio del 1001, passando per Trento)
e un po' meno di due mesi al ritorno (dal 16 febbraio al 10 apri
le del 1001, passando per St. Maurice d'Agaune, nella valle
superiore del Rodano).
Rubruk, al ritorno dalla sua missione dal Gran Kahn dei mongoli,
fu molto più veloce: dal campo sul Karakorum fino al medio
Volga egli impiegò circa dieci settimane (dal 9 luglio al 16 settem
bre, quattromila chilometri circa in linea d'aria), viaggiando quin
di a una media di quasi sessanta chilometri al giorno. L'afferma
zione di Rubruk secondo cui egli avrebbe percorso ogni giorno
a cavallo una distanza pari a quella tra Parigi e Orléans (cento
dieci chilometri in linea d'aria) sembra essere quindi del tutto in
verosimile.
Il calcolo della media non corrisponde però alla realtà, perché
non considera né i giorni di riposo (volontari o comandati) né le
soste più lunghe di cui sempre si parla nei racconti di viaggio.
Uomini e animali hanno bisogno di riposo; c'è chi desidera gode
re dell'ospitalità dei parenti, chi vuole visitare le chiese e venera
re le reliquie locali, chi vuole assistere a una fiera e prendere con
tatti con i colleghi d'affari; altri ancora vengono trattenuti da una
malattia, dalla piena, dalla neve, da gabellieri malvagi; viene loro
rubato il cavallo, litigano con l'oste, il traghetto cola a picco.
Progettare realisticamente un viaggio, sia in montagna sia soprat
tutto in mare, significa mettere in conto i ritardi. Percorrere gior
nalmente quattro o cinque chilometri in alta montagna, tenendo
conto delle condizioni del tempo, della stagione e della propria
costituzione fisica, poteva essere già una prestazione considere
vole.
Per il tratto da Coira a Bellinzona (circa ottanta chilometri in li
nea d'aria), attraverso il passo del San Bernardino, si dovevano
calcolare come minimo dai quattro ai sei giorni; ancora nella pri
ma metà del XIX secolo un'elegante carrozza da viaggio impie
gava una settimana a percorrere il tratto da Innsbruck a Bregenz
attraverso il Passo Arlberg (centotrenta chilometri in linea d'aria).
Per il viaggiatore di terra trenta chilometri al giorno rappresenta
vano una buona media. Anche chi andava a cavallo riusciva a
percorrere più di trecento chilometri in dieci giorni solo se cam
biava i cavalli durante il tragitto e se rinunciava per quattro o an
che sei giorni di fila a prendersi un giorno di riposo.
Soltanto a partire dal XVIII secolo i ceti superiori, e in misura
sempre maggiore anche i ceti medi, poterono viaggiare più velo
cemente grazie al miglioramento delle strade, all'istituzione delle
stazioni di posta per il cambio dei cavalli e all'impiego di carroz
ze da viaggio abbastanza comode; solo l'avvento della motoriz
zazione nei secoli XIX e XX apportò un radicale mutamento
della circolazione.

Nella navigazione i ritardi erano assolutamente imprevedibili.
Spesso dovevano trascorrere giorni di incessanti preghiere prima
che soffiasse il «vento propizio».
Nel 1249 Luigi il Santo impiegò ventitre giorni interi a percorrere
la rotta fra Cipro e Damietta (quattrocento chilometri) invece dei
soliti tre giorni.
Marco Polo fu costretto dal maltempo a una sosta obbligata di
cinque mesi a Sumatra.
Benché il calcolo della media giornaliera risulti problematico (an
che a causa della diversa durata del giorno in estate e in inverno),
esistevano comunque alcuni dati suffragati dall'esperienza in base
ai quali le autorità laiche ed ecclesiastiche, le persone e le corpo
razioni che dovevano spesso inviare messaggi urgenti potevano
regolarsi.
La «media» relativamente bassa nei viaggi marittimi si spiega in
nanzi tutto col fatto che le navi tenevano di rado la rotta ideale;
lungo il tragitto si scendeva spesse volte a terra. Da Lubecca a
Bergen la durata della sola navigazione era di nove giorni, ma il
viaggio durava complessivamente dalle tre alle quattro settimane.
Con il vento favorevole, navigando giorno e notte, si potevano
percorrere in una settimana fino a millequattrocento chilometri
(da Lisbona alle Isole Canarie).
La nave di Gokstad, ricostruita sul modello vichingo, con la qua
le nel 1893 si fece la traversata dell'Atlantico, aveva una vela e
ventotto rematori su un equipaggio di sessanta uomini. Essa sal
pò da Bergen il 30 aprile e giunse a Neufundiand il 27 maggio.
I norvegesi conoscevano bene i venti e le correnti e possedeva
no strumenti moderni e carte nautiche. Ciò nonostante essi riu
scirono a percorrere questo tratto di circa quattromiladuecento
chilometri a una media di «soli» centocinquanta chilometri gior
nalieri.
Nel XII secolo Ibn Jobair, un viaggiatore arabo, impiegò trenta
giorni da Ceuta ad Alessandria; lungo il tragitto la sua nave fece
rotta verso le Baleari, la Sardegna, la Sicilia e Creta (circa tremi
laottocento chilometri). Il viaggio di ritorno non fu propizio.
A causa del maltempo la nave impiegò cinquanta giorni solo per
andare da Acri a Messina (duemila chilometri). Jobair riferisce
che i passeggeri soffrirono molto la fame; i più previdenti fra loro
avevano portato con sé provviste per trenta giorni, altri per venti
o tutt'al più per quindici giorni.
Chi aveva fatto scorta per venti giorni calcolava quindi di per
correre cento chilometri al giorno; chi si era rifornito per quin
dici giorni supponeva di farne addirittura centotrenta. Il viaggio
descritto da Jobair durò quindi, per un lungo tratto, ben tre vol
te di più di quanto gli ottimisti si aspettassero.
Questo resoconto corrisponde ai dati basati sull'esperienza tra
mandati dalle città marinare italiane. Da Venezia a Candia (Creta,
circa milleseicento chilometri) ci volevano, col vento particolar
mente propizio, diciotto giorni, in estate di norma dai ventitré ai
trenta giorni, d'inverno dai quarantacinque ai sessanta giorni.
Per andare da Genova ad Acri si calcolava un mese (duemila
ottocento chilometri).
Nell'Oceano Indiano il viaggio da Mascate a Caulun (Quilon,
nell'India sudoccidentale) doveva richiedere, in condizioni di ven
to relativamente favorevoli, un mese (duemilacinquecento chilo
metri, corrispondenti a circa ottanta chilometri al giorno).
L'aumento della velocità dei viaggi nel tardo medioevo fu deter
minato da molteplici cause: l'allevamento di cavalli più capaci,
l'istituzione di stazioni di posta per il cambio dei cavalli, la co
struzione di strade e ponti, l'uso regolare dei traghetti, servizi mi
gliori di assistenza per uomini e cavalli lungo il percorso, la co
struzione di navi più veloci (e più comode); se nella prima metà
del XV secolo un corriere espresso da Roma a Firenze (duecen
totrenta chilometri in linea d'aria) impiegava ancora cinque-sei
giorni, nella seconda metà del XVI secolo esso impiegava un
giorno soltanto.
Corrieri espressi straordinari dovettero percorrere in questo pe
riodo dai duecentocinquanta ai trecento chilometri al giorno; in
questo modo l'occidente ricuperò lo svantaggio di secoli rispet
to ai regni asiatici.

Resta da chiedersi se non ci fossero altri metodi meno dispen
diosi e forse più rapidi per trasmettere le notizie.
Widukindo di Corvey nella sua storia dei sassoni racconta che
gli ungari, durante le loro scorrerie in Germania, comunicavano
secondo il loro uso (suo more) mediante segnali di fumo; dun
que nel X secolo nell'impero questo sistema di trasmissione
delle informazioni era assai poco noto.
Secondo Marco Polo i pirati nell'Oceano Indiano facevano se
gnali di fumo da nave a nave per avvertire della presenza di un
bottino.
Durante il suo primo viaggio in America, Colombo osserva che
gli indios comunicavano tra loro mediante segnali di fumo «co
me soldati in guerra». Questo sistema di trasmissione dell'infor
mazione era dunque noto a molti popoli; in occidente esso è
usato ancora oggi nell'elezione del papa.
Ma proprio qui più di una volta il segnale - la fumata bianca o
nera - è stato male interpretato dalla folla in attesa.
Anche nei tempi antichi si conoscevano gli svantaggi del «tele
grafo a fumo»: il messaggio doveva essere il più semplice e ine
quivocabile possibile, del tipo «prepararsi all'attacco» oppure
«siamo in pericolo». Le deboli truppe dell'imperatore tedesco
prese d'assalto nelle città italiane riuscirono più di una volta a
salvarsi appiccando il fuoco; il suo chiarore avvertiva del peri
colo le altre truppe accampate su un vasto raggio attorno alla
città (come a Pavia nel 1004 e a Ravenna nel 1026).
Nel bacino del Mediterraneo il sistema telegrafico mediante se
gnali di fumo e di fuoco si affermò con successo; l'impero bizan
tino ideò una catena di fanali di fuoco sulle cime delle montagne,
per mezzo dei quali si poteva avvertire tempestivamente la capi
tale dell'attacco da parte dei musulmani.
Pare che nel X secolo gli arabi comunicassero nell'arco di un
giorno mediante segnali di fuoco le notizie da Alessandria a
Ceuta (circa tremilacinquecento chilometri in linea d'aria, ma
dato l'andamento della costa il tracciato del «telegrafo» doveva
essere più lungo).
Gli stati partecipanti alle crociate avevano costruito le loro roc
caforti in Terra Santa a una distanza tale che esse fossero visi
bili l'una dall'altra. I segnali di fumo e di fuoco presentavano
comunque anche evidenti svantaggi: venivano scorti dal nemi
co, nella foschia e nella nebbia non si riusciva a riconoscerli e
in pianura era difficile trasmetterli.

In mare si comunicava con le bandiere; Colombo dice a questo
proposito che, di ritorno dal suo primo viaggio in America, cer
cava di notte di mantenere il più a lungo possibile il contatto con
la Nina, la seconda nave per importanza, tramite segnali luminosi.
Egli non si pronuncia sui dettagli, non riferisce ad esempio se in
questo modo venissero trasmesse intere frasi.
Un vero e proprio eliografo fu inventato solo nel 1782 da
Christoph Hoffmann (1721-1807), dieci anni prima del francese
Chappe.

Nel VI secolo Procopio si rammarica nel constatare che «l'arte»
di trasmettere segnali con la tromba sia stata «ora» disimparata.
In guerra gli ordini semplici continuarono a essere trasmessi con
la tromba, anche presso gli ungari, come riferisce la Vita di Ulrico
d'Augusta.
In Africa i tamburi costituirono fino al nostro secolo un mezzo di
comunicazione anche su distanze molto lunghe.
I piccioni viaggiatori furono utilizzati in oriente forse già attorno al
1000 a.C.; essi furono impiegati nel i secolo a.C. per scopi militari
e all'inizio del IV secolo d.C. per scopi civili.
Sebbene i piccioni nell'epoca preindustriale fossero ideali come
mezzo di trasmissione delle notizie - sono veloci, convenienti, facili
da mantenere - essi non furono evidentemente allevati sistematica
mente per creare un servizio postale.
Nei paesi islamici ci si rese conto dei loro pregi nel IX e nel X se
colo. Il sultano Baibars (1260-1277) adottò il sistema postale dei
piccioni viaggiatori in proporzioni mai viste nella lotta contro gli
ultimi baluardi degli stati crociati.

Ciò che per noi, oggi, è divenuto abituale - viaggiare a una velocità
maggiore di quella del suono o comunicare per telefono alla velocità
della luce - per gli uomini dei tempi antichi poteva essere tutt'al più
un sogno; ci si augurava allora forse di entrare in possesso di un
anello che bastava rigirare per essere subito trasportati nel luogo de
siderato.

Norbert Ohler - I viaggi nel Medio Evo - Garzanti

E tu che hai avuto la pazienza di leggere, hai qualche altra notizia
da aggiungere per capire a quale "passo" si viaggiava nel Medioevo?

Guardrail
STP
2006-01-18 23:31:18 UTC
Permalink
Post by guardrail
E tu che hai avuto la pazienza di leggere, hai qualche altra notizia
da aggiungere per capire a quale "passo" si viaggiava nel Medioevo?
Interessante, purtroppo posso aggiungere solo uno spunto: credo di aver
letto che un fante dell'epoca napoleonica, ben equipaggiato, potesse
percorrere 25-30km, che era la stessa distanza percorsa da un fante
cesariano. Ho come l'impressione che nel medioevo le distanze percorse dai
soldati fossero inferiori.

S.T.P.
STP
2006-01-18 23:33:57 UTC
Permalink
aver letto che un fante dell'epoca napoleonica, ben equipaggiato,
potesse percorrere 25-30km,
quotidianamente, ovvio

S.T.P.
tommaso aquinate
2006-01-19 01:12:28 UTC
Permalink
eppure il medioevo fu periodo di grande mobilità nonostante tutte le
oggettive difficoltà. Sfidando la condizione delle strade , l'insicurezza
psicologica e fisica mercanti , chierici , contadini , nobili viaggiavano
sia per necessità che per "turismo" ( i pellegrinaggi furono in fondo una
primitiva forma di turismo!)
La precarietà del titolo di possesso del territorio che contraddistingueva
tutta la piramide sociale medioevale ( la precarietà del possesso della
terra era dato comune al contadino ed al suo signore ) , il fatto che vi
fosse chi non aveva niente da perdere o da "lasciare" ha fatto sì che anche
durante il medioevo masse di persone si spostassero da un lato all'altro
dell'Europa. L'emigrazione del contadino, individuale o collettiva , è stata
uno dei grandi fenomeni della demografia e delle società medioevali.
Fonte : Jacques le Goff La civiltà dell'occidente medioevale.
Bentornato Guardrail!!!
P.S. Cosa ne pensi del mio post sulla caduta dell'impero romano? Qual è la
tua opinione?
ciao
Post by guardrail
Eccomi allora con un altro argomento.
A quale velocità viaggiava la gente nel medioevo?
Basta dare un'occhiata ai valori estremi per convincersi che
non è facile calcolare una «media». L'efficiente servizio di
corrieri e staffette nel regno mongolo copriva la distanza di
trecentosettantacinque chilometri in ventiquattrore (la posta
statale romana, il cursus publicus, arrivava «solo» a trecento
trecentocinquantacinque chilometri). C'erano però anche
gli storpi che si trascinavano avanti pochi centimetri alla volta,
aiutandosi con degli «sgabellini» che servivano a non scorticar
si le mani sulla strada.
I miracoli di sant'Elisabetta, che costituiscono una fonte pre
ziosa anche per la storia dei viaggi, narrano di uno storpio di
ventun anni, il quale nel 1232 in cinque settimane trascinò il
proprio corpo paralizzato da Grunberg, nell'Assia, fino a
Marburg, a ventotto chilometri di distanza in linea d'aria e circa
trentacinque chilometri di strada.
La velocità dei viaggi medievali andava quindi da uno a più di
cento chilometri al giorno!
La maggior parte delle persone fino al XIX secolo viaggiò a
piedi; camminando a una velocità di quattro o anche sei chilo
metri all'ora, potevano percorrere dai trenta ai quaranta chilo
metri al giorno. A cavallo si potevano raggiungere i cinquanta-
sessanta chilometri in un giorno.
Questi dati non vanno però generalizzati, come si può spiegare
con un esempio: ai milleduecento chilometri in linea d'aria tra
Hildesheim e Roma dovevano corrispondere nel medioevo co
me minimo millecinquecento chilometri di strada.
Dividendo questa distanza per trenta e per cinquanta (ossia le
prestazioni giornaliere più basse dei pedoni e dei cavalieri) si
ottiene rispettivamente cinquanta e trenta giorni.
I viandanti che a piedi riuscivano a fare millecinquecento chilo
metri in sette settimane dovevano essere ben pochi.
E Bernardo di Hildesheim, che sicuramente aveva a disposizio
ne buoni cavalli, impiegò più di due mesi all'andata (dal 2 no
vembre del 1000 al 4 gennaio del 1001, passando per Trento)
e un po' meno di due mesi al ritorno (dal 16 febbraio al 10 apri
le del 1001, passando per St. Maurice d'Agaune, nella valle
superiore del Rodano).
Rubruk, al ritorno dalla sua missione dal Gran Kahn dei mongoli,
fu molto più veloce: dal campo sul Karakorum fino al medio
Volga egli impiegò circa dieci settimane (dal 9 luglio al 16 settem
bre, quattromila chilometri circa in linea d'aria), viaggiando quin
di a una media di quasi sessanta chilometri al giorno. L'afferma
zione di Rubruk secondo cui egli avrebbe percorso ogni giorno
a cavallo una distanza pari a quella tra Parigi e Orléans (cento
dieci chilometri in linea d'aria) sembra essere quindi del tutto in
verosimile.
Il calcolo della media non corrisponde però alla realtà, perché
non considera né i giorni di riposo (volontari o comandati) né le
soste più lunghe di cui sempre si parla nei racconti di viaggio.
Uomini e animali hanno bisogno di riposo; c'è chi desidera gode
re dell'ospitalità dei parenti, chi vuole visitare le chiese e venera
re le reliquie locali, chi vuole assistere a una fiera e prendere con
tatti con i colleghi d'affari; altri ancora vengono trattenuti da una
malattia, dalla piena, dalla neve, da gabellieri malvagi; viene loro
rubato il cavallo, litigano con l'oste, il traghetto cola a picco.
Progettare realisticamente un viaggio, sia in montagna sia soprat
tutto in mare, significa mettere in conto i ritardi. Percorrere gior
nalmente quattro o cinque chilometri in alta montagna, tenendo
conto delle condizioni del tempo, della stagione e della propria
costituzione fisica, poteva essere già una prestazione considere
vole.
Per il tratto da Coira a Bellinzona (circa ottanta chilometri in li
nea d'aria), attraverso il passo del San Bernardino, si dovevano
calcolare come minimo dai quattro ai sei giorni; ancora nella pri
ma metà del XIX secolo un'elegante carrozza da viaggio impie
gava una settimana a percorrere il tratto da Innsbruck a Bregenz
attraverso il Passo Arlberg (centotrenta chilometri in linea d'aria).
Per il viaggiatore di terra trenta chilometri al giorno rappresenta
vano una buona media. Anche chi andava a cavallo riusciva a
percorrere più di trecento chilometri in dieci giorni solo se cam
biava i cavalli durante il tragitto e se rinunciava per quattro o an
che sei giorni di fila a prendersi un giorno di riposo.
Soltanto a partire dal XVIII secolo i ceti superiori, e in misura
sempre maggiore anche i ceti medi, poterono viaggiare più velo
cemente grazie al miglioramento delle strade, all'istituzione delle
stazioni di posta per il cambio dei cavalli e all'impiego di carroz
ze da viaggio abbastanza comode; solo l'avvento della motoriz
zazione nei secoli XIX e XX apportò un radicale mutamento
della circolazione.
Nella navigazione i ritardi erano assolutamente imprevedibili.
Spesso dovevano trascorrere giorni di incessanti preghiere prima
che soffiasse il «vento propizio».
Nel 1249 Luigi il Santo impiegò ventitre giorni interi a percorrere
la rotta fra Cipro e Damietta (quattrocento chilometri) invece dei
soliti tre giorni.
Marco Polo fu costretto dal maltempo a una sosta obbligata di
cinque mesi a Sumatra.
Benché il calcolo della media giornaliera risulti problematico (an
che a causa della diversa durata del giorno in estate e in inverno),
esistevano comunque alcuni dati suffragati dall'esperienza in base
ai quali le autorità laiche ed ecclesiastiche, le persone e le corpo
razioni che dovevano spesso inviare messaggi urgenti potevano
regolarsi.
La «media» relativamente bassa nei viaggi marittimi si spiega in
nanzi tutto col fatto che le navi tenevano di rado la rotta ideale;
lungo il tragitto si scendeva spesse volte a terra. Da Lubecca a
Bergen la durata della sola navigazione era di nove giorni, ma il
viaggio durava complessivamente dalle tre alle quattro settimane.
Con il vento favorevole, navigando giorno e notte, si potevano
percorrere in una settimana fino a millequattrocento chilometri
(da Lisbona alle Isole Canarie).
La nave di Gokstad, ricostruita sul modello vichingo, con la qua
le nel 1893 si fece la traversata dell'Atlantico, aveva una vela e
ventotto rematori su un equipaggio di sessanta uomini. Essa sal
pò da Bergen il 30 aprile e giunse a Neufundiand il 27 maggio.
I norvegesi conoscevano bene i venti e le correnti e possedeva
no strumenti moderni e carte nautiche. Ciò nonostante essi riu
scirono a percorrere questo tratto di circa quattromiladuecento
chilometri a una media di «soli» centocinquanta chilometri gior
nalieri.
Nel XII secolo Ibn Jobair, un viaggiatore arabo, impiegò trenta
giorni da Ceuta ad Alessandria; lungo il tragitto la sua nave fece
rotta verso le Baleari, la Sardegna, la Sicilia e Creta (circa tremi
laottocento chilometri). Il viaggio di ritorno non fu propizio.
A causa del maltempo la nave impiegò cinquanta giorni solo per
andare da Acri a Messina (duemila chilometri). Jobair riferisce
che i passeggeri soffrirono molto la fame; i più previdenti fra loro
avevano portato con sé provviste per trenta giorni, altri per venti
o tutt'al più per quindici giorni.
Chi aveva fatto scorta per venti giorni calcolava quindi di per
correre cento chilometri al giorno; chi si era rifornito per quin
dici giorni supponeva di farne addirittura centotrenta. Il viaggio
descritto da Jobair durò quindi, per un lungo tratto, ben tre vol
te di più di quanto gli ottimisti si aspettassero.
Questo resoconto corrisponde ai dati basati sull'esperienza tra
mandati dalle città marinare italiane. Da Venezia a Candia (Creta,
circa milleseicento chilometri) ci volevano, col vento particolar
mente propizio, diciotto giorni, in estate di norma dai ventitré ai
trenta giorni, d'inverno dai quarantacinque ai sessanta giorni.
Per andare da Genova ad Acri si calcolava un mese (duemila
ottocento chilometri).
Nell'Oceano Indiano il viaggio da Mascate a Caulun (Quilon,
nell'India sudoccidentale) doveva richiedere, in condizioni di ven
to relativamente favorevoli, un mese (duemilacinquecento chilo
metri, corrispondenti a circa ottanta chilometri al giorno).
L'aumento della velocità dei viaggi nel tardo medioevo fu deter
minato da molteplici cause: l'allevamento di cavalli più capaci,
l'istituzione di stazioni di posta per il cambio dei cavalli, la co
struzione di strade e ponti, l'uso regolare dei traghetti, servizi mi
gliori di assistenza per uomini e cavalli lungo il percorso, la co
struzione di navi più veloci (e più comode); se nella prima metà
del XV secolo un corriere espresso da Roma a Firenze (duecen
totrenta chilometri in linea d'aria) impiegava ancora cinque-sei
giorni, nella seconda metà del XVI secolo esso impiegava un
giorno soltanto.
Corrieri espressi straordinari dovettero percorrere in questo pe
riodo dai duecentocinquanta ai trecento chilometri al giorno; in
questo modo l'occidente ricuperò lo svantaggio di secoli rispet
to ai regni asiatici.
Resta da chiedersi se non ci fossero altri metodi meno dispen
diosi e forse più rapidi per trasmettere le notizie.
Widukindo di Corvey nella sua storia dei sassoni racconta che
gli ungari, durante le loro scorrerie in Germania, comunicavano
secondo il loro uso (suo more) mediante segnali di fumo; dun
que nel X secolo nell'impero questo sistema di trasmissione
delle informazioni era assai poco noto.
Secondo Marco Polo i pirati nell'Oceano Indiano facevano se
gnali di fumo da nave a nave per avvertire della presenza di un
bottino.
Durante il suo primo viaggio in America, Colombo osserva che
gli indios comunicavano tra loro mediante segnali di fumo «co
me soldati in guerra». Questo sistema di trasmissione dell'infor
mazione era dunque noto a molti popoli; in occidente esso è
usato ancora oggi nell'elezione del papa.
Ma proprio qui più di una volta il segnale - la fumata bianca o
nera - è stato male interpretato dalla folla in attesa.
Anche nei tempi antichi si conoscevano gli svantaggi del «tele
grafo a fumo»: il messaggio doveva essere il più semplice e ine
quivocabile possibile, del tipo «prepararsi all'attacco» oppure
«siamo in pericolo». Le deboli truppe dell'imperatore tedesco
prese d'assalto nelle città italiane riuscirono più di una volta a
salvarsi appiccando il fuoco; il suo chiarore avvertiva del peri
colo le altre truppe accampate su un vasto raggio attorno alla
città (come a Pavia nel 1004 e a Ravenna nel 1026).
Nel bacino del Mediterraneo il sistema telegrafico mediante se
gnali di fumo e di fuoco si affermò con successo; l'impero bizan
tino ideò una catena di fanali di fuoco sulle cime delle montagne,
per mezzo dei quali si poteva avvertire tempestivamente la capi
tale dell'attacco da parte dei musulmani.
Pare che nel X secolo gli arabi comunicassero nell'arco di un
giorno mediante segnali di fuoco le notizie da Alessandria a
Ceuta (circa tremilacinquecento chilometri in linea d'aria, ma
dato l'andamento della costa il tracciato del «telegrafo» doveva
essere più lungo).
Gli stati partecipanti alle crociate avevano costruito le loro roc
caforti in Terra Santa a una distanza tale che esse fossero visi
bili l'una dall'altra. I segnali di fumo e di fuoco presentavano
comunque anche evidenti svantaggi: venivano scorti dal nemi
co, nella foschia e nella nebbia non si riusciva a riconoscerli e
in pianura era difficile trasmetterli.
In mare si comunicava con le bandiere; Colombo dice a questo
proposito che, di ritorno dal suo primo viaggio in America, cer
cava di notte di mantenere il più a lungo possibile il contatto con
la Nina, la seconda nave per importanza, tramite segnali luminosi.
Egli non si pronuncia sui dettagli, non riferisce ad esempio se in
questo modo venissero trasmesse intere frasi.
Un vero e proprio eliografo fu inventato solo nel 1782 da
Christoph Hoffmann (1721-1807), dieci anni prima del francese
Chappe.
Nel VI secolo Procopio si rammarica nel constatare che «l'arte»
di trasmettere segnali con la tromba sia stata «ora» disimparata.
In guerra gli ordini semplici continuarono a essere trasmessi con
la tromba, anche presso gli ungari, come riferisce la Vita di Ulrico
d'Augusta.
In Africa i tamburi costituirono fino al nostro secolo un mezzo di
comunicazione anche su distanze molto lunghe.
I piccioni viaggiatori furono utilizzati in oriente forse già attorno al
1000 a.C.; essi furono impiegati nel i secolo a.C. per scopi militari
e all'inizio del IV secolo d.C. per scopi civili.
Sebbene i piccioni nell'epoca preindustriale fossero ideali come
mezzo di trasmissione delle notizie - sono veloci, convenienti, facili
da mantenere - essi non furono evidentemente allevati sistematica
mente per creare un servizio postale.
Nei paesi islamici ci si rese conto dei loro pregi nel IX e nel X se
colo. Il sultano Baibars (1260-1277) adottò il sistema postale dei
piccioni viaggiatori in proporzioni mai viste nella lotta contro gli
ultimi baluardi degli stati crociati.
Ciò che per noi, oggi, è divenuto abituale - viaggiare a una velocità
maggiore di quella del suono o comunicare per telefono alla velocità
della luce - per gli uomini dei tempi antichi poteva essere tutt'al più
un sogno; ci si augurava allora forse di entrare in possesso di un
anello che bastava rigirare per essere subito trasportati nel luogo de
siderato.
Norbert Ohler - I viaggi nel Medio Evo - Garzanti
E tu che hai avuto la pazienza di leggere, hai qualche altra notizia
da aggiungere per capire a quale "passo" si viaggiava nel Medioevo?
Guardrail
guardrail
2006-01-19 10:03:17 UTC
Permalink
"tommaso aquinate" > ha scritto nel messaggio
Post by tommaso aquinate
eppure il medioevo fu periodo di grande mobilità nonostante tutte le
oggettive difficoltà. Sfidando la condizione delle strade , l'insicurezza
psicologica e fisica mercanti , chierici , contadini , nobili viaggiavano
sia per necessità che per "turismo" ( i pellegrinaggi furono in fondo una
primitiva forma di turismo!)
Giustissimo. Potrei postare all'infinito sull'argomento, però, detto tra
noi, è uno di quegli argomenti che interesserà si e no due o tre lurker
al massimo.
Post by tommaso aquinate
La precarietà del titolo di possesso del territorio che contraddistingueva
tutta la piramide sociale medioevale ( la precarietà del possesso della
terra era dato comune al contadino ed al suo signore ) , il fatto che vi
fosse chi non aveva niente da perdere o da "lasciare" ha fatto sì che anche
durante il medioevo masse di persone si spostassero da un lato all'altro
dell'Europa. L'emigrazione del contadino, individuale o collettiva , è stata
uno dei grandi fenomeni della demografia e delle società medioevali.
Fonte : Jacques le Goff La civiltà dell'occidente medioevale.
Ripeto che sull'argomento potremmo girarci attorno per mesi.
Che si tratti di Compostella o di Terra Santa i pellegrinaggi hanno mosso
fior di storici per trattare l'argomento, come pure quei grandi movimenti
di gente per gli Anni Santi a Roma in cerca di indulgenze. Nel passato ne
abbiamo parlato a lungo sull'NG.
Post by tommaso aquinate
Bentornato Guardrail!!!
Grazie tante, spero anche di postare "non castronate".
Post by tommaso aquinate
P.S. Cosa ne pensi del mio post sulla caduta dell'impero romano? Qual è la
tua opinione?
ciao
Uno dei primi argomenti che affrontai postando in questo NG è stato
proprio "L'agonia di Roma":
http://groups.google.it/group/free.it.storia.medioevo/browse_frm/thread/e09f1a3155afe2f1/b2cc5af06703ef90?q=l'agonia+di+roma&rnum=1#b2cc5af06703ef90

Quando l'amico Piero mi invitò qui circa 2 anni fa mi accorsi che l'agonia
era anche dell'NG. Me ne feci un dovere per rianimarlo con una
grossa bombola di ossigeno. Mi preparai un "percorso" e mi sono
messo di buzzo buono per rianimarlo. Non è ancora tempo di consun
tivi, solo di analisi, giacchè non ho ancora deciso di demordere.
Sono partito postando saggi e critiche storiche di 50 - 80 - 100 anni fa
proprio con l'intento di provocare reazioni ed animarlo con discussioni.
Risultato? Mi considero sempre insoddisfatto ma speranzoso.

Ben vengano quindi user armati anch'essi di "bombole" di ossigeno
e non di anitride carbonica o polveri nocive alla salute dell'NG.

Per quanto riguarda l'argomento della "caduta di Roma" vedrò di
postare una buona quantità di "pareri". Da parte mia asserisco che
le motivazioni sono molteplici, una lunga serie di concause che tut
te insieme hanno determinato quella caduta.
Ma Piero F. non lo vedo più qui: cos'è accaduto Piero?

Ciao
Guardrail
Carlo aka Cadfael
2006-01-19 15:59:45 UTC
Permalink
Post by guardrail
Giustissimo. Potrei postare all'infinito sull'argomento, però, detto tra
noi, è uno di quegli argomenti che interesserà si e no due o tre lurker
al massimo.
E, di grazia, perché dovrebbe riscuotere un così scarso interesse?

un lurker interessato(e curioso)
--
ciao :)
Carlo
guardrail
2006-01-19 18:38:05 UTC
Permalink
"Carlo aka Cadfael" > ha scritto nel messaggio
Post by Carlo aka Cadfael
Post by guardrail
Giustissimo. Potrei postare all'infinito sull'argomento, però, detto tra
noi, è uno di quegli argomenti che interesserà si e no due o tre lurker
al massimo.
E, di grazia, perché dovrebbe riscuotere un così scarso interesse?
un lurker interessato(e curioso)
--
ciao :)
Carlo
Semplicemente perchè dopo aver fatto alcuni esempi per determinare
donde provengono le asserzioni, diventa notevolmente barboso leggere
e citare una sequela di Tizi e Sempronii che raccontano i loro viaggi.
Ovviamente se il trattare tali viaggi dovesse servire a rafforzare le con
vinzioni sulle "velocità". Tutt'altro interesse invece s'avrebbe se ci incen
trassimo sulle peripezie di qualsiasi natura, e credo che tu (e altri anco
ra) voglia(te) trattare quest'altri aspetti.
Comunque sia, considerando che forse c'è qualcuno che è interessato,
riporto una tabella assai difficile da riprodurre, spero di riuscirci:


(v)Velocità oraria in km (p)Prestazioni in Km

Viandanti v4-6 p25-40
Corrieri v10-12 p50-65
Cavallo al galoppo v20-25
«Viaggiatore medio», senza fretta, con seguito e bagagli (es. mercanti)
p30-45
Cavalieri di corporatura normale, che hanno fretta p50-60
Corrieri a cavallo, con cambio di cavalli p50-80
Staffette a cavallo nel regno mongolo, nel XIII sec. (dopo Marco Polo)
p375
Staffette a cavallo in India, nel XIV sec. (dopo Ibn Battuta)
p300
Corrieri espressi papali, nel XIV sec. in pianura p100
Gli stessi, in montagna p50
Corrieri espressi in Francia e in Spagna nel XIV sec. p150-200
Staffette nel regno degli incas v10 p240
Postini spagnoli a cavallo nel XVI sec. in Sudamerica p44
Imbarcazioni fluviali che navigano a valle sul Reno o sul Po
p100-150
Galere, spinte solo a remi 1a ora 4,5 nodi v8
poi 1,5-2,3 nodi v2,7-4,2
a vela 6 nodi e più v11
Nave a vela v5 p120-200
Nave a vela spinta dal vento, dalla corrente e dai remi 6-7 nodi
v11-13
Nave vichinga, ricostruita nel 1893, 9-11 nodi
v17-20 p150
Cocca dell'Ansa 4.5-6.8 nodi v8-13

Ciao
Guardrail
tommaso aquinate
2006-01-19 01:18:16 UTC
Permalink
domani se riesco....( perchè dico io devo finire di lavorare alle 20 e
oltre??) vi posto due pagine di Jacques Le goff "La ciiltà dell'occidente
medioevale proprio sui viaggi nel medioevo contenuta nel capitolo "strutture
spaziali e temporali.
ciao atutti
tommaso
Post by guardrail
Eccomi allora con un altro argomento.
A quale velocità viaggiava la gente nel medioevo?
Basta dare un'occhiata ai valori estremi per convincersi che
non è facile calcolare una «media». L'efficiente servizio di
corrieri e staffette nel regno mongolo copriva la distanza di
trecentosettantacinque chilometri in ventiquattrore (la posta
statale romana, il cursus publicus, arrivava «solo» a trecento
trecentocinquantacinque chilometri). C'erano però anche
gli storpi che si trascinavano avanti pochi centimetri alla volta,
aiutandosi con degli «sgabellini» che servivano a non scorticar
si le mani sulla strada.
I miracoli di sant'Elisabetta, che costituiscono una fonte pre
ziosa anche per la storia dei viaggi, narrano di uno storpio di
ventun anni, il quale nel 1232 in cinque settimane trascinò il
proprio corpo paralizzato da Grunberg, nell'Assia, fino a
Marburg, a ventotto chilometri di distanza in linea d'aria e circa
trentacinque chilometri di strada.
La velocità dei viaggi medievali andava quindi da uno a più di
cento chilometri al giorno!
La maggior parte delle persone fino al XIX secolo viaggiò a
piedi; camminando a una velocità di quattro o anche sei chilo
metri all'ora, potevano percorrere dai trenta ai quaranta chilo
metri al giorno. A cavallo si potevano raggiungere i cinquanta-
sessanta chilometri in un giorno.
Questi dati non vanno però generalizzati, come si può spiegare
con un esempio: ai milleduecento chilometri in linea d'aria tra
Hildesheim e Roma dovevano corrispondere nel medioevo co
me minimo millecinquecento chilometri di strada.
Dividendo questa distanza per trenta e per cinquanta (ossia le
prestazioni giornaliere più basse dei pedoni e dei cavalieri) si
ottiene rispettivamente cinquanta e trenta giorni.
I viandanti che a piedi riuscivano a fare millecinquecento chilo
metri in sette settimane dovevano essere ben pochi.
E Bernardo di Hildesheim, che sicuramente aveva a disposizio
ne buoni cavalli, impiegò più di due mesi all'andata (dal 2 no
vembre del 1000 al 4 gennaio del 1001, passando per Trento)
e un po' meno di due mesi al ritorno (dal 16 febbraio al 10 apri
le del 1001, passando per St. Maurice d'Agaune, nella valle
superiore del Rodano).
Rubruk, al ritorno dalla sua missione dal Gran Kahn dei mongoli,
fu molto più veloce: dal campo sul Karakorum fino al medio
Volga egli impiegò circa dieci settimane (dal 9 luglio al 16 settem
bre, quattromila chilometri circa in linea d'aria), viaggiando quin
di a una media di quasi sessanta chilometri al giorno. L'afferma
zione di Rubruk secondo cui egli avrebbe percorso ogni giorno
a cavallo una distanza pari a quella tra Parigi e Orléans (cento
dieci chilometri in linea d'aria) sembra essere quindi del tutto in
verosimile.
Il calcolo della media non corrisponde però alla realtà, perché
non considera né i giorni di riposo (volontari o comandati) né le
soste più lunghe di cui sempre si parla nei racconti di viaggio.
Uomini e animali hanno bisogno di riposo; c'è chi desidera gode
re dell'ospitalità dei parenti, chi vuole visitare le chiese e venera
re le reliquie locali, chi vuole assistere a una fiera e prendere con
tatti con i colleghi d'affari; altri ancora vengono trattenuti da una
malattia, dalla piena, dalla neve, da gabellieri malvagi; viene loro
rubato il cavallo, litigano con l'oste, il traghetto cola a picco.
Progettare realisticamente un viaggio, sia in montagna sia soprat
tutto in mare, significa mettere in conto i ritardi. Percorrere gior
nalmente quattro o cinque chilometri in alta montagna, tenendo
conto delle condizioni del tempo, della stagione e della propria
costituzione fisica, poteva essere già una prestazione considere
vole.
Per il tratto da Coira a Bellinzona (circa ottanta chilometri in li
nea d'aria), attraverso il passo del San Bernardino, si dovevano
calcolare come minimo dai quattro ai sei giorni; ancora nella pri
ma metà del XIX secolo un'elegante carrozza da viaggio impie
gava una settimana a percorrere il tratto da Innsbruck a Bregenz
attraverso il Passo Arlberg (centotrenta chilometri in linea d'aria).
Per il viaggiatore di terra trenta chilometri al giorno rappresenta
vano una buona media. Anche chi andava a cavallo riusciva a
percorrere più di trecento chilometri in dieci giorni solo se cam
biava i cavalli durante il tragitto e se rinunciava per quattro o an
che sei giorni di fila a prendersi un giorno di riposo.
Soltanto a partire dal XVIII secolo i ceti superiori, e in misura
sempre maggiore anche i ceti medi, poterono viaggiare più velo
cemente grazie al miglioramento delle strade, all'istituzione delle
stazioni di posta per il cambio dei cavalli e all'impiego di carroz
ze da viaggio abbastanza comode; solo l'avvento della motoriz
zazione nei secoli XIX e XX apportò un radicale mutamento
della circolazione.
Nella navigazione i ritardi erano assolutamente imprevedibili.
Spesso dovevano trascorrere giorni di incessanti preghiere prima
che soffiasse il «vento propizio».
Nel 1249 Luigi il Santo impiegò ventitre giorni interi a percorrere
la rotta fra Cipro e Damietta (quattrocento chilometri) invece dei
soliti tre giorni.
Marco Polo fu costretto dal maltempo a una sosta obbligata di
cinque mesi a Sumatra.
Benché il calcolo della media giornaliera risulti problematico (an
che a causa della diversa durata del giorno in estate e in inverno),
esistevano comunque alcuni dati suffragati dall'esperienza in base
ai quali le autorità laiche ed ecclesiastiche, le persone e le corpo
razioni che dovevano spesso inviare messaggi urgenti potevano
regolarsi.
La «media» relativamente bassa nei viaggi marittimi si spiega in
nanzi tutto col fatto che le navi tenevano di rado la rotta ideale;
lungo il tragitto si scendeva spesse volte a terra. Da Lubecca a
Bergen la durata della sola navigazione era di nove giorni, ma il
viaggio durava complessivamente dalle tre alle quattro settimane.
Con il vento favorevole, navigando giorno e notte, si potevano
percorrere in una settimana fino a millequattrocento chilometri
(da Lisbona alle Isole Canarie).
La nave di Gokstad, ricostruita sul modello vichingo, con la qua
le nel 1893 si fece la traversata dell'Atlantico, aveva una vela e
ventotto rematori su un equipaggio di sessanta uomini. Essa sal
pò da Bergen il 30 aprile e giunse a Neufundiand il 27 maggio.
I norvegesi conoscevano bene i venti e le correnti e possedeva
no strumenti moderni e carte nautiche. Ciò nonostante essi riu
scirono a percorrere questo tratto di circa quattromiladuecento
chilometri a una media di «soli» centocinquanta chilometri gior
nalieri.
Nel XII secolo Ibn Jobair, un viaggiatore arabo, impiegò trenta
giorni da Ceuta ad Alessandria; lungo il tragitto la sua nave fece
rotta verso le Baleari, la Sardegna, la Sicilia e Creta (circa tremi
laottocento chilometri). Il viaggio di ritorno non fu propizio.
A causa del maltempo la nave impiegò cinquanta giorni solo per
andare da Acri a Messina (duemila chilometri). Jobair riferisce
che i passeggeri soffrirono molto la fame; i più previdenti fra loro
avevano portato con sé provviste per trenta giorni, altri per venti
o tutt'al più per quindici giorni.
Chi aveva fatto scorta per venti giorni calcolava quindi di per
correre cento chilometri al giorno; chi si era rifornito per quin
dici giorni supponeva di farne addirittura centotrenta. Il viaggio
descritto da Jobair durò quindi, per un lungo tratto, ben tre vol
te di più di quanto gli ottimisti si aspettassero.
Questo resoconto corrisponde ai dati basati sull'esperienza tra
mandati dalle città marinare italiane. Da Venezia a Candia (Creta,
circa milleseicento chilometri) ci volevano, col vento particolar
mente propizio, diciotto giorni, in estate di norma dai ventitré ai
trenta giorni, d'inverno dai quarantacinque ai sessanta giorni.
Per andare da Genova ad Acri si calcolava un mese (duemila
ottocento chilometri).
Nell'Oceano Indiano il viaggio da Mascate a Caulun (Quilon,
nell'India sudoccidentale) doveva richiedere, in condizioni di ven
to relativamente favorevoli, un mese (duemilacinquecento chilo
metri, corrispondenti a circa ottanta chilometri al giorno).
L'aumento della velocità dei viaggi nel tardo medioevo fu deter
minato da molteplici cause: l'allevamento di cavalli più capaci,
l'istituzione di stazioni di posta per il cambio dei cavalli, la co
struzione di strade e ponti, l'uso regolare dei traghetti, servizi mi
gliori di assistenza per uomini e cavalli lungo il percorso, la co
struzione di navi più veloci (e più comode); se nella prima metà
del XV secolo un corriere espresso da Roma a Firenze (duecen
totrenta chilometri in linea d'aria) impiegava ancora cinque-sei
giorni, nella seconda metà del XVI secolo esso impiegava un
giorno soltanto.
Corrieri espressi straordinari dovettero percorrere in questo pe
riodo dai duecentocinquanta ai trecento chilometri al giorno; in
questo modo l'occidente ricuperò lo svantaggio di secoli rispet
to ai regni asiatici.
Resta da chiedersi se non ci fossero altri metodi meno dispen
diosi e forse più rapidi per trasmettere le notizie.
Widukindo di Corvey nella sua storia dei sassoni racconta che
gli ungari, durante le loro scorrerie in Germania, comunicavano
secondo il loro uso (suo more) mediante segnali di fumo; dun
que nel X secolo nell'impero questo sistema di trasmissione
delle informazioni era assai poco noto.
Secondo Marco Polo i pirati nell'Oceano Indiano facevano se
gnali di fumo da nave a nave per avvertire della presenza di un
bottino.
Durante il suo primo viaggio in America, Colombo osserva che
gli indios comunicavano tra loro mediante segnali di fumo «co
me soldati in guerra». Questo sistema di trasmissione dell'infor
mazione era dunque noto a molti popoli; in occidente esso è
usato ancora oggi nell'elezione del papa.
Ma proprio qui più di una volta il segnale - la fumata bianca o
nera - è stato male interpretato dalla folla in attesa.
Anche nei tempi antichi si conoscevano gli svantaggi del «tele
grafo a fumo»: il messaggio doveva essere il più semplice e ine
quivocabile possibile, del tipo «prepararsi all'attacco» oppure
«siamo in pericolo». Le deboli truppe dell'imperatore tedesco
prese d'assalto nelle città italiane riuscirono più di una volta a
salvarsi appiccando il fuoco; il suo chiarore avvertiva del peri
colo le altre truppe accampate su un vasto raggio attorno alla
città (come a Pavia nel 1004 e a Ravenna nel 1026).
Nel bacino del Mediterraneo il sistema telegrafico mediante se
gnali di fumo e di fuoco si affermò con successo; l'impero bizan
tino ideò una catena di fanali di fuoco sulle cime delle montagne,
per mezzo dei quali si poteva avvertire tempestivamente la capi
tale dell'attacco da parte dei musulmani.
Pare che nel X secolo gli arabi comunicassero nell'arco di un
giorno mediante segnali di fuoco le notizie da Alessandria a
Ceuta (circa tremilacinquecento chilometri in linea d'aria, ma
dato l'andamento della costa il tracciato del «telegrafo» doveva
essere più lungo).
Gli stati partecipanti alle crociate avevano costruito le loro roc
caforti in Terra Santa a una distanza tale che esse fossero visi
bili l'una dall'altra. I segnali di fumo e di fuoco presentavano
comunque anche evidenti svantaggi: venivano scorti dal nemi
co, nella foschia e nella nebbia non si riusciva a riconoscerli e
in pianura era difficile trasmetterli.
In mare si comunicava con le bandiere; Colombo dice a questo
proposito che, di ritorno dal suo primo viaggio in America, cer
cava di notte di mantenere il più a lungo possibile il contatto con
la Nina, la seconda nave per importanza, tramite segnali luminosi.
Egli non si pronuncia sui dettagli, non riferisce ad esempio se in
questo modo venissero trasmesse intere frasi.
Un vero e proprio eliografo fu inventato solo nel 1782 da
Christoph Hoffmann (1721-1807), dieci anni prima del francese
Chappe.
Nel VI secolo Procopio si rammarica nel constatare che «l'arte»
di trasmettere segnali con la tromba sia stata «ora» disimparata.
In guerra gli ordini semplici continuarono a essere trasmessi con
la tromba, anche presso gli ungari, come riferisce la Vita di Ulrico
d'Augusta.
In Africa i tamburi costituirono fino al nostro secolo un mezzo di
comunicazione anche su distanze molto lunghe.
I piccioni viaggiatori furono utilizzati in oriente forse già attorno al
1000 a.C.; essi furono impiegati nel i secolo a.C. per scopi militari
e all'inizio del IV secolo d.C. per scopi civili.
Sebbene i piccioni nell'epoca preindustriale fossero ideali come
mezzo di trasmissione delle notizie - sono veloci, convenienti, facili
da mantenere - essi non furono evidentemente allevati sistematica
mente per creare un servizio postale.
Nei paesi islamici ci si rese conto dei loro pregi nel IX e nel X se
colo. Il sultano Baibars (1260-1277) adottò il sistema postale dei
piccioni viaggiatori in proporzioni mai viste nella lotta contro gli
ultimi baluardi degli stati crociati.
Ciò che per noi, oggi, è divenuto abituale - viaggiare a una velocità
maggiore di quella del suono o comunicare per telefono alla velocità
della luce - per gli uomini dei tempi antichi poteva essere tutt'al più
un sogno; ci si augurava allora forse di entrare in possesso di un
anello che bastava rigirare per essere subito trasportati nel luogo de
siderato.
Norbert Ohler - I viaggi nel Medio Evo - Garzanti
E tu che hai avuto la pazienza di leggere, hai qualche altra notizia
da aggiungere per capire a quale "passo" si viaggiava nel Medioevo?
Guardrail
fulvio
2006-01-27 17:02:27 UTC
Permalink
Post by guardrail
E tu che hai avuto la pazienza di leggere, hai qualche altra notizia
da aggiungere per capire a quale "passo" si viaggiava nel Medioevo?
Guardrail
solo una piccola curiosità :

i tempi di trasferimento via mare si discostano poco da quelli attuali
fatti a vela x diporto
.... ne deduciamo che i venti non sono cambiati, che la tecnologia navale ha
avuto poca evoluzione.... o che si è sempre navigato solo per diporto ???
;-)

fulvio
guardrail
2006-01-27 19:44:42 UTC
Permalink
"fulvio" > ha scritto nel messaggio
"guardrail" > ha scritto nel messaggio
Post by guardrail
E tu che hai avuto la pazienza di leggere, hai qualche altra notizia
da aggiungere per capire a quale "passo" si viaggiava nel Medioevo?
i tempi di trasferimento via mare si discostano poco da quelli attuali
fatti a vela x diporto
.... ne deduciamo che i venti non sono cambiati, che la tecnologia navale ha
avuto poca evoluzione.... o che si è sempre navigato solo per diporto ???
;-)
fulvio
Sono un vecchio lupo di montagna, non di mare. :-)))
Comunque ho partecipato a delle regate su vecchie "carrette" per
regate (costruite nel 1933 - ristrutturate negli anni '80 con l'aggiunta
di motore Ferrari da 5.000 cv) e devo dire che quelle "carrette", in
puro tek, pur con vele di tele pesantissime "quasi cerate", con l'appe
santimento di motore, piombo e catrame, erano velocissime in manie
ra sbalorditiva.
Sono anche salito su un vecchio galeone spagnolo del XVI sec.(ma
bellissimo - ristrutturato da architetti con le palle); e confabulando con
il proprietario sulle velocità di ieri e di oggi (benchè eravamo intorno
al 1985-86) mi ha fatto osservare:

- A parità di equipaggio a bordo le velocità sono rimaste quasi identi
che nelle situazioni di "scarico". Ancora poca differenza in condizioni
di carico (e cosa dovrei trasportare se la porto a spasso per il mondo?).

- La differenza è dovuta soprattutto alle vele d'oggi, molto più leggere
e resistenti, ma anche più manovrabili con il "cordame" sintetico.

- La chiglia è la stessa e quindi l'attrito dell' "opera viva" (la parte som
mersa della nave) che aveva ieri è anche quella di oggi "benchè il mare
oggi è molto più 'oleoso'. (bella battuta no?).

Il progresso quindi è sostanzialmente su parecchi elementi che vanno
dall'altezza (e dal numero) delle alberature, nei materiali utilizzati, e
nelle vele. Se poi qualcuno mi verrà a dire che l' "Amerigo Vespucci"
(anch'esso del '31) è più veloce di un galeone del XVI sec. mi
vedrà rispondere : «bella scoperta» :-)))

Vorrei aggiungere che la vela è l'elemento che utilizza la forza pro
pulsiva per l'avanzamento dello scafo. Pima di arrivare alle "rande"
o agli "spinnaker" si è dovuti passare al "fiocco" al "fiocco genoa".
Ne è passato di tempo da quando si "velava" con le "quadre" le
"laltne", "al terzo" , con la "tarchia" e con la "randa aurica"!!!

Ciao
Guardrail
guardrail
2006-02-01 00:04:38 UTC
Permalink
"fulvio" > ha scritto nel messaggio
... chi vuol fare un guro in barca faccia un fischio ....
ciao fulvio
Allora eccoti il primo fischio: il mio "ffffffffffiiiiiiiiiiiii"
Spero però che non mi porterai in giro con una di quelle
in... cemento armato ;-)))
Mi è capitato anche quest'avventura, per la miseria!!!
Sappi che preferisco le barche tipo yawl e ketch, quindi con
due alberi (maestra e mezzana), il "trinchetto" mi piace poco :-))
Così potremo parlare della "scala Beaufort", della "scala
Douglas", di maree e corenti di maree, o come fare il
"punto nave" con il "rilevamento per il controllo della rotta",
e quant'altro ancora.
si con l'olio si scorre meglio... materiale a parte dal medioevo ad oggi
almeno si è capito come funziona il tutto, la sezione delòl'opera viva che
rende d + (meno superficie quindi meno attrito) è sempre quella tonda, se
risaliamo il vendo è importante la deriva ma per le andature "classiche" non
lo è molto

Guarda che nel Medioevo i viaggi per diporto interessavano a ben pochi.
Bisognava tener conto soprattutto della "stabilità" e pertanto dipendente
mente dall'uso che se ne voleva fare ( guerra, carico, esplorazione, ecc.)
si progettavano le carene in modo da apporre una forte resistenza allo
sbandamento laterale e allo "scarroccio", quindi gli "architettori" dei tem
pi andati si ponevano il problema della "stabilità di forma" oppure la
"stabilità di peso" (con la zavorra).
si i venti non hanno cambiato molto, la tecnologia si , ma non per barche
da diporto/piccolo cabotaggio il passo avanti maghgiore è nel risalire il
vento (bolina)

Risalire il vento nel gergo è "sopravvento" e quindi siamo nel "settore di
bordeggio", e la vera difficoltà non è la "bolina" ma la "bolina stretta"
che ha una angolatura ancora più inferiore rispetto alla direzione reale
del vento.
si "vira" quando si cambia "rotta" con il vento in fronte, si "stramba"
quando si cambia con il vento in poppa...

E' così: probabilmente sui navigli milanesi usate una terminologia
più fiumarola ;-)))
La virata e l'abbattuta sono manovre che permettono di variare le
andature di una barca a vela rispetto alla direzione del vento (che si
chiama "letto del vento"). Nei viramenti si ha il cambio delle "mure"
che può essere effettuato sia con il vento in prora che con il vento
in poppa. Nel primo caso si ha la "virata", nel secondo caso si ha
l' "abbattuta" o (molto più marinaresco) "strambata".
Ma a me piace moltissimo l' "orzata".

Ciao
Guardrail
fulvio
2006-02-01 23:47:48 UTC
Permalink
Post by guardrail
"fulvio" > ha scritto nel messaggio
... chi vuol fare un guro in barca faccia un fischio ....
ciao fulvio
avrete capito che guro stava per giro...
Post by guardrail
Allora eccoti il primo fischio: il mio "ffffffffffiiiiiiiiiiiii"
Spero però che non mi porterai in giro con una di quelle
in... cemento armato ;-)))
ok! appena farà un po + caldo "mettiamo in barca il tutto" normalmente
usiamo barche da 6-8-12 posti
in vetroresina o acciaio ma....
... ci sono delle ottime barche in cemento, se vuoi...
Post by guardrail
Sappi che preferisco le barche tipo yawl e ketch, quindi con
due alberi (maestra e mezzana), il "trinchetto" mi piace poco :-))
sono dell'idea che la barca devo riuscire a portarla da solo quindi sloop
o cutter se non serve una grande velatura, si passa a due alberi per non
avere delle vele impossibili da gestire (peso stivaggio) da soli, la mia
barca preferita è la goletta anche se un po in disuso
Post by guardrail
Così potremo parlare della "scala Beaufort", della "scala
Douglas", di maree e corenti di maree, o come fare il
"punto nave" con il "rilevamento per il controllo della rotta",
e quant'altro ancora.
punto riportato, rotta di intercettazione scarroccio e.... cerchio
capace (o circonferenza capace se preferisci) , e molto difficile trovare
chi usa questo sistema discorso gps a parte
Post by guardrail
si con l'olio si scorre meglio... materiale a parte dal medioevo ad oggi
almeno si è capito come funziona il tutto, la sezione delòl'opera viva che
rende d + (meno superficie quindi meno attrito) è sempre quella tonda, se
risaliamo il vendo è importante la deriva ma per le andature "classiche" non
lo è molto
Guarda che nel Medioevo i viaggi per diporto interessavano a ben pochi.
ovvio il paragone e con il diporto attuale perchè non è possibile fare
paragoni tra navi commerciali
di epoca diversa
Post by guardrail
Bisognava tener conto soprattutto della "stabilità" ........
...............
infatti le anfore erano a punta per infilarle nella sabbia del fondo che
seriva a bilanciare.....
piu recentemente ricordiamoci del VAASA affondato subito dopo il varo per
instabilità
Post by guardrail
sbandamento laterale e allo "scarroccio", quindi gli "architettori" dei tem
pi andati si ponevano il problema della "stabilità di forma" oppure la
"stabilità di peso" (con la zavorra).
.... ricordiamoci dei clipper che senza deriva hanno stabilito i record di
attraversata dell'atlantico superato poi poco prima della II guerra mondiale
da navi a motore

facciamo però un po di attenzione a non mettere insieme galee, caravelle,
clipper, luna rossa ;-)
Post by guardrail
Risalire il vento nel gergo è "sopravvento" e quindi siamo nel "settore di
bordeggio", e la vera difficoltà non è la "bolina" ma la "bolina stretta"
che ha una angolatura ancora più inferiore rispetto alla direzione reale
del vento.
emmm calma !
"sopravvento" indica la parte di provenienza del vento, "sottovento"
l'altra, essere spravvento ad una altra barca vuol dire che il vento arriva
prima da noi poi a lei
traverso, lasco, bolina, ecc. sono "andature" non confondiamo le due cose
la bolina era conosciuta nel medioevo invece per la bolina stretta e
l'ardente si dovrà aspettare ..
Post by guardrail
si "vira" quando si cambia "rotta" con il vento in fronte, si "stramba"
quando si cambia con il vento in poppa...
E' così: probabilmente sui navigli milanesi usate una terminologia
più fiumarola ;-)))
la mia esperienza e tutta marinara con qualche deriva su lago
Post by guardrail
La virata e l'abbattuta sono manovre che permettono di variare le
andature di una barca a vela rispetto alla direzione del vento (che si
chiama "letto del vento"). Nei viramenti si ha il cambio delle "mure"
che può essere effettuato sia con il vento in prora che con il vento
in poppa. Nel primo caso si ha la "virata", nel secondo caso si ha
l' "abbattuta" o (molto più marinaresco) "strambata".
Ma a me piace moltissimo l' "orzata".
io preferisco la menta ;-))

letto del vento ??? ha sonno ?
cambio di mure.... sai perchè si dice così? ne ho sentite un po di tutti
i colori...
le mure erano delle manovre (corde) che tenevano in posizione le vele
quadre, si mettevano sopravvento e
andavano dalla murata (bordo della nave) all'angolo inferiore della vela
dalla parte opposta alla scotta
vedremo il tutto a primavera
Post by guardrail
Ciao
Guardrail
ciao fulvio
fulvio
2006-01-31 22:38:56 UTC
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Post by guardrail
Sono un vecchio lupo di montagna, non di mare. :-)))
il passo è breve credimi, l'ho fatto anch'io
Post by guardrail
Comunque ho partecipato a delle regate su vecchie "carrette" per
regate (costruite nel 1933 - ristrutturate negli anni '80 con l'aggiunta
di motore Ferrari da 5.000 cv)............
....................... ....... ...... ...........
Sono anche salito su un vecchio galeone spagnolo del XVI sec.(ma
bellissimo - ristrutturato da architetti con le palle
di cannone ovvio
Post by guardrail
e confabulando con
il proprietario sulle velocità di ieri e di oggi (benchè eravamo intorno
- A parità di equipaggio a bordo le velocità sono rimaste quasi identi
che nelle situazioni di "scarico". Ancora poca differenza in condizioni
di carico (e cosa dovrei trasportare se la porto a spasso per il mondo?).
si i venti non hanno cambiato molto, la tecnologia si , ma non per barche
da diporto/piccolo cabotaggio il passo avanti maghgiore è nel risalire il
vento (bolina)
Post by guardrail
- La differenza è dovuta soprattutto alle vele d'oggi, molto più leggere
e resistenti, ma anche più manovrabili con il "cordame" sintetico.
- La chiglia è la stessa e quindi l'attrito dell' "opera viva" (la parte som
mersa della nave) che aveva ieri è anche quella di oggi "benchè il mare
oggi è molto più 'oleoso'. (bella battuta no?).
si con l'olio si scorre meglio... materiale a parte dal medioevo ad oggi
almeno si è capito come funziona il tutto, la sezione delòl'opera viva che
rende d + (meno superficie quindi meno attrito) è sempre quella tonda, se
risaliamo il vendo è importante la deriva ma per le andature "classiche" non
lo è molto
Post by guardrail
Il progresso quindi è sostanzialmente su parecchi elementi che vanno
dall'altezza (e dal numero) delle alberature, nei materiali utilizzati, e
nelle vele. Se poi qualcuno mi verrà a dire che l' "Amerigo Vespucci"
(anch'esso del '31) è più veloce di un galeone del XVI sec. mi
vedrà rispondere : «bella scoperta» :-)))
la vespucci è una gran bella nave (tecnicamente "nave a palo" dato che
l'albero posteriore in realtà non si puo chiamare albero per via del tipo di
vela che regge) ma è una gran bella nave per quello che rappresenta piu che
per la linea ... pensa ai clipper...
ma una curiosità: nella cabina del comandante c'è una vasca da bagno, rarità
!!!!!!!! o forse unica!
Post by guardrail
Vorrei aggiungere che la vela è l'elemento che utilizza la forza pro
pulsiva per l'avanzamento dello scafo. Pima di arrivare alle "rande"
o agli "spinnaker" si è dovuti passare al "fiocco" al "fiocco genoa".
Ne è passato di tempo da quando si "velava" con le "quadre" le
"laltne", "al terzo" , con la "tarchia" e con la "randa aurica"!!!
diciamo che il passo è stato principale è stato scoprire la differenza del
lavoro della vela alle andature diverse e principalmente la "scoperta" di
come funziona la vela triangolare che permette appunto la risalita del
vento, oggi si arriva ad angoli di 30 gradi rispetto ala provenienza del
vento, con fiocco e randa che lavorano insieme; ai tempi i velieri a vela
quadra se volevano strambare spesso dovevano ammainare le vele verso
poppa...
acc...è difficile parlarne senza usare un gergo dell' ambiente .. dunque:
si "vira" quando si cambia "rotta" con il vento in fronte, si "stramba"
quando si cambia con il vento in poppa...
una bellissima barca era quella vichinga, malgrado l'opera morta(la parte
che stà fuori acqua) bassa tiene il mare che è una meraviglia in barba alle
onde alte da notare che nel mediterraneo il mistral (vento da nordovest)
solleva delle onde che sono quasi dei muri, cosa che non succede negli altri
mari che dicevo ? a si il draken risaliva il vento anche con una vela
quadra e nelle dotazioni di bordo c'erano dei materiali che permettavano di
sapere dove era il sole anche nella nebbia (polarizzazione) e delle bussole
solari con dischi intercambiabili per le varie latitudini.
ho provato personalmente e ti assicuro che funzionano anche oggi !!!
forse è meglio che chiuda qui altrimenti non mi fermo e salto di palo in
albero....

... chi vuol fare un guro in barca faccia un fischio ....

ciao fulvio
Post by guardrail
Ciao
Guardrail
Hawkwood
2006-02-03 22:42:05 UTC
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Tratto da: Sulle rotte della Serenissima, con il Vistona verso gli
scali veneziani in Levante, di Franco Masiero, U. Mursia Editore
S.p.A., Biblioteca del mare n. 258, 1983


Il viaggio del Vistona (veliero di 16 metri) si svolge nel 1982, da
Venezia (partenza 14 giugno) fino a Castelrosso e ritorno (16
settembre). Qui vengono schematizzati i dati principali relativi alla
navigazione, allo scopo di poterli fin dove possibile confrontare con i
giornali di bordo ricavati dalle testimonianze dei viaggiatori del
passato.

Da Venezia a Castelrosso.

Scali: Cittanova, Canal di Leme, Pola, San Pietro ai Nembi, Berguglie,
Zara, Selenico, Rogoznica, Traù, Lesina, Curzola, Cavtat, Cattaro,
Brindisi, Coro, Sivota, Paxos, Santa Maura, Porto Vathi, Zante,
Navarino, Modone, Corone, Cerigo, Souda, Rethimnos, Iraklion, Agios
Nikolaos, Lindos, Rodi, Marmaris, Fethiye, Olu Deniz, Kalkan, Kekova,
Castelrosso.
Miglia percorse: 1.421
Ore effettive di navigazione: 352,5
Media complessiva: 4,03 nodi


Da Castelrosso a Venezia

Scali: Marmaris, Rodi, Lindos, Agios Nikolaos, Souda, Corone, Zante,
Paxos, Corfù, Brindisi, Monopoli, Molfetta, Curzola, Lesina, Zlarin,
Berguglie, Cittanova, Venezia
Miglia percorse: 1.277
Ore effettive di navigazione: 326,3
Media complessiva: 3,91 nodi

Considerazioni. Rispetto ai percorsi delle galee veneziane, il Vistona
ha effettuato un numero molto maggiore di scali; ciò in quanto
occorreva visitare e documentare la maggior parte degli scali
normalmente toccati dalle antiche flotte, o comunque toccare quei
luoghi che in qualsiasi modo erano interessati a quei traffici.
Ovviamente, non si è potuto fare scalo in territorio albanese:
approdare laggiù è assolutamente proibito (nel 1982, n.d.r.)
Certamente il viaggio termina a Castelrosso secondo un criterio
discutibile: diciamo intanto che Castelrosso è un luogo splendido e
già questo basterebbe, forse. In realtà, le rotte dei Veneziani verso
Levante si diramavano a sud del Peloponneso:
1. Rotta di Romania: da Modone, circumnavigando il Peloponneso,
dirigevano verso Costantinopoli, Trebisonda, La Tana (foci del fiume
Don)
2. Rotta di Siria: da Modone a Creta, Rodi, Cipro, Damasco
3. Rotta di Alessandria: da Modone a Creta, Alessandria d'Egitto
4. Rotte del "trafego": da Corfù alla Sicilia, Tunisi, Tripoli,
Alessandria d'Egitto, Damasco

Ecco dunque che Castelrosso in qualche modo rappresenta il punto da cui
si diramavano idealmente tutte queste rotte. Certo sarebbe stato bello
raggiungere Istanbul, cioè Costantinopoli, cioè Bisanzio: Bisanzio
rappresenta un episodio fondamentale, un incontro incancellabile per la
storia di Venezia. Ma sarà di un altro viaggio. Bisogna pur lasciare
che qualche porto ci chiami ancora, e ritorneremo in mare.
Per quanto riguarda gli aspetti tecnici, si può osservare che il
percorso di andata e ritorno è stato di 2.698 miglia coperte in 678.8
ore, a una media di 3,97 nodi. Con buona approssimazione, i tratti a
motore corrispondono a circa il 20 per cento della navigazione totale.
In sostanza, il Vistona ha coperto la distanza ad una media che è di
poco superiore a quella tenuta dalle galee: è una valutazione in certo
senso legittima, considerando che, se la nostra barca era attrezzata in
modo da stringere maggiormente il vento, rispetto ad una galea era
svantaggiata da una ben minore lunghezza al galleggiamento. Non si
possono fare paragoni strettissimi, ma è interessante osservare che da
secoli il passo di una imbarcazione a vela nel Mediterraneo corrisponde
a una media di 4 miglia all'ora. Al tempo delle galee e al tempo
nostro. E' il passo di un uomo che cammina speditamente, è una
velocità umana. Quella giusta per vedere e capire.

Hawkwood

www.medioevo.org/compagniabianca
http://groups.msn.com/gruppistorici/arcieristoricimedievali.msnw?action=ShowPhoto&PhotoID=893
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