Piero F.
2005-07-28 09:22:19 UTC
Mi ero occupato largamente, nelle ultime confutazioni, della "teoria" che
riguarda la "Francia" e la "Nuova Roma": e credo di aver dimostrato, ad
abundantiam, non solo la ridicolaggine della tesi carnevalesca, ma anche le
precise ragioni della sua inconsistenza.
Vediamo ora come Carnevale strombazzi ai quattro venti che la "tradizione
popolare italiana" perpetuava il ricordo di quei nomi e di quei fatti, ma,
non trovando nulla a sostegno della sua sbruffonata, si aggrappi a un oscuro
ed ermetico Fioretto di San Francesco, nel quale egli CREDE di ravvisare
qualche indizio a suo favore. E' comunque tipico del suo procedimento
mentale il ricercare in testi di fantasia le "prove" che gli vengono negate
da testi storici (si veda la sua predilezione per Notker, per Angilberto e
altri affabulatori). Eh, ma nemmeno stavolta riesce a passarla liscia...
IL PICENO E' LA CULLA DELLA LINGUA FRANCESE?
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32. Ancora dopo il Mille la tradizione popolare italiana continuava a
chiamare "Francia" il Piceno: la madre di S. Francesco (1181-1226) veniva
dalla "Francia", il padre Bernardone andava spesso da Assisi in Francia per
vendervi stoffe; per ragioni di commercio vi si recava con Francesco (Fonti
francescane, Editrici Francescane, Padova- Assisi 1980 p.1956), il quale era
in grado di esprimersi in "francese" senza avere mai attraversato le Alpi.
Inoltre è interessante citare il contenuto di un episodio dei Fioretti, il
XIII, in cui si narra che S. Francesco si recò con frate Masseo a Roma , in
Francia, e andò a pregare nella chiesa di S. Pietro. Eccone i passi
salienti:
«Francesco con frate Masseo per compagno, prese il cammino verso la
provincia di Francia. E pervenendo un dì a una villa assai affamati,
andarono, secondo la Regola, mendicando del pane per l' amor di Dio.Fatta
orazione e presa la refezione corporale di questi pezzi di pane e di quella
acqua, si levarono per camminare in Francia.Giunsono a Roma ed entrarono
nella chiesa di santo Pietro, e santo Francesco si puose in orazione. Il
Fioretto si conclude raccontando che san Francesco in Francia, in San
Pietro, fu assicurato dagli apostoli Pietro e Paolo che Dio concedeva a lui
e ai suoi seguaci il tesoro della santissima povertà. Dopo di che pieni di
letizia determinarono di tornare nella valle di Spulito, lasciando l'andare
in Francia".È evidente che si tratta della Francia e della Roma picene,
testimoni, con i loro recenti, eloquenti ruderi, che tutto è vanitas
vanitatum. I Fioretti nacquero nel Piceno. Dall'implicito confronto tra la
povertà evangelica e 'Roma' in Francia, già Urbs aurea in comitatu Camerino,
ora in totale rovina, derivava che vero, indistruttibile tesoro era la
povertà di Francesco»
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Se ora mi soffermerò sulla vita di un santo, non è per devozione religiosa,
ma perché Carnevale tende a spacciare per "fonti storiche" un coacervo di
leggende agiografiche, anche piuttosto tarde.
Le Fonti Francescane citate sono consultabili anche in rete presso il sito
ufficiale della Basilica di Assisi
(www.sanfrancescoassisi.org/index.php?lang=ita > San Francesco > Le fonti
francescane biografiche), e, da quelle, poco o nulla emerge dell'infanzia
del santo.
Cronologicamente, la prima biografia è la "Vita prima di San Francesco d'
Assisi", che il francescano abruzzese Tommaso da Celano (c. 1190 / c. 1260)
compilò tra il 1228 e l'inizio del 1229, seguita da una più tarda "Vita
seconda" (1246/47) che fra' Tommaso compilò in seguito all'ingiunzione,
fatta dal Capitolo generale di Genova del 1244, «di scrivere i fatti e
persino le parole» di Francesco, e non già di limitarsi ai «signa et
prodigia».
Tuttavia, entrambe queste tempestive biografie vennero condannate alla
distruzione dal capitolo di Parigi del 1266, nel tentativo di stroncare
un'ormai incontrollabile fiorire di leggende agiografiche apocrife. Ma copie
di quei manoscritti sopravvissero ugualmente, e furono riscoperte nel XVIII
secolo.
La biografia "ufficiale" e autorizzata di San Francesco, rimase per secoli
quella commissionata a Bonaventura di Bagnoregio, detta "Leggenda maggiore".
Incaricato dal Capitolo generale di Narbona del 1260, Bonaventura presentava
la sua opera al successivo Capitolo generale di Pisa del 1263, riscuotendo
un «successo» che gli verrà confermato nel Capitolo generale di Parigi del
1266, allorché si decretò la distruzione di tutte le precedenti biografie
per fare spazio alla sola "Leggenda maggiore" (così chiamata perché esiste
una "Leggenda minore", più breve, composta ad uso corale).
Esiste poi una cosiddetta "Leggenda dei tre compagni", datata (con qualche
dubbio) 1246, che sfuggì alla "censura" dell'epoca, e che completa il
trittico classico delle fonti biografiche duecentesche.
Ebbene, quelle fonti, pur essendo quasi contemporanee a Francesco, liquidano
molto in fretta l'infanzia e la giovinezza del santo.
Tommaso da Celano, Vita prima di San Francesco d'Assisi:
«1. Viveva ad Assisi, nella valle spoletana, un uomo di nome Francesco. Dai
genitori ricevette fin dalla infanzia una cattiva educazione, ispirata alle
vanità del mondo. Imitando i loro esempi, egli stesso divenne ancor più
leggero e vanitoso.»
Tommaso da Celano, Vita seconda di San Francesco d'Assisi:
«3. Il servo e amico dell'Altissimo, Francesco, ebbe questo nome dalla
divina Provvidenza, affinché per la sua originalità e novità si diffondesse
più facilmente in tutto il mondo la fama della sua missione. La madre lo
aveva chiamato Giovanni, quando rinascendo dall'acqua e dallo Spirito Santo,
da figlio d'ira era divenuto figlio della grazia.
Specchio di rettitudine, quella donna presentava nella sua condotta, per
così dire, un segno visibile della sua virtù. Infatti, fu resa partecipe,
come privilegio, di una certa somiglianza con l'antica santa Elisabetta, sia
per il nome imposto al figlio, sia anche per lo spirito profetico. Quando i
vicini manifestavano la loro ammirazione per la generosità d'animo e
l'integrità morale di Francesco, ripeteva, quasi divinamente ispirata: «Cosa
pensate che diverrà, questo mio figlio? Sappiate, che per i suoi meriti
diverrà figlio di Dio».
San Bonaventura da Bagnoregio, Leggenda maggiore:
«1. Vi fu, nella città di Assisi, un uomo di nome Francesco, la cui memoria
è in benedizione, perché Dio, nella Sua bontà, lo prevenne con benedizioni
straordinarie e lo sottrasse, nella sua clemenza, ai pericoli della vita
presente e, nella sua generosità, lo colmò con i doni della grazia celeste.
Nell'età giovanile, crebbe tra le vanità dei vani figli degli uomini.
Dopo un'istruzione sommaria, venne destinato alla lucrosa attività del
commercio.»
San Bonaventura da Bagnoregio, Leggenda minore:
«Nato nella città di Assisi, dalle parti della valle di Spoleto, egli
dapprima fu chiamato Giovanni dalla madre; poi, Francesco, dal padre: e
certo egli tenne, quanto al suono, il nome imposto dal padre, ma, quanto al
significato, realizzò quello del nome imposto dalla madre.
Durante l'età giovanile fu allevato nelle vanità, in mezzo ai vani figli
degli uomini, e, dopo un'istruzione sommaria, venne destinato alla lucrosa
attività del commercio: eppure, per l'assistenza e la protezione divina, non
seguì gli istinti sfrenati della carne, benché in mezzo a giovani
licenziosi, e, benché in mezzo a mercanti tesi al guadagno, non ripose la
sua speranza nel danaro e nei tesori.»
Leggenda dei tre compagni:
«2. Francesco fu oriundo di Assisi, nella valle di Spoleto. Nacque durante
un'assenza del padre, e la madre gli mise nome Giovanni; ma, tornato il
padre dal suo viaggio in Francia, cominciò a chiamare Francesco il suo
figlio.»
Tutto qui. Tuttavia, nelle moderne versioni della vita di Francesco
d'Assisi, si leggono notizie sulla sua infanzia, che evidentemente non
derivano da quelle primissime biografie.
«Francesco nasce ad Assisi nell'inverno del 1182 da Pietro di Bernardone e
Madonna Pica, una delle famiglie più agiate della città.
Il padre commerciava in spezie e stoffe. La nascita di Francesco lo coglie
lontano da Assisi, mentre era in Provenza, occupato nella sua professione.
La madre scelse il nome di Giovanni, nome che fu subito cambiato in
Francesco quando tornò il padre. La fanciullezza trascorse serenamente in
famiglia e Francesco potè studiare il latino, il volgare, il provenzale e la
musica; le sue note insieme alle sue poesie, furono sempre apprezzate nelle
feste della città. Il padre desiderava avviarlo al più presto all'attività
del commercio.»
[www.san-francesco.org]
«San Francesco d'Assisi nacque ad Assisi nel 1182 ca. e morì nel 1226.
Giovanni Francesco Bernardone, figlio di un ricco mercante di stoffe,
istruito in latino, in francese, e nella lingua e letteratura provenzale,
condusse da giovane una vita spensierata e mondana...»
[www.san-francesco.it]
Evidentemente nel corso dei secoli si sono consolidate altre leggende,
arricchendo di particolari i racconti (in effetti molto scarni e sbrigativi)
riportati nelle principali fonti.
Ireneo Bellotta, in "I santi patroni d'Italia", riassume tutti quei
particolari sull'infanzia di Francesco, ma cerca di mantenere un certo
spirito critico nei confronti degli "eccessi di devozione":
«Dal mercante di panni Pietro di Bernardone, nel 1182, nacque in Assisi
Giovanni, così chiamato per la devozione del padre verso S. Giovanni
Battista, che ebbe poi mutato il nome in Francesco, significante «francese»,
a ricordare i frequenti viaggi che Pietro faceva in Francia per commercio.
La madre, Pica, nome probabilmente indicante le «voglie» delle gravide,
dette piche, al momento del parto volle essere portata in un presepe
domestico costruito al pian terreno della casa, e il bambino fu deposto
accanto al bambino Gesù. Proprio il presepe divenne una cappella, detta
Stalletta o Oratorio di S. Francesco piccolino, sulla quale fu apposta, nel
XIV secolo una iscrizione latina: «questo oratorio fu la stalla del bue e
dell'asino: nella quale è nato San Francesco, specchio del mondo».
*** E' evidente il persistente tentativo, più volte confermato nei secoli,
di adeguare il santo allo stesso Gesù e di far corrispondere le vicende
della sua vita al modello divino.***
Francesco apprese i primi rudimenti del sapere nella scuola parrocchiale di
S. Giorgio, e dal padre ebbe nozioni elementari di provenzale.»
Bellotta sottolinea proprio il punto che creava tanti grattacapi alla Chiesa
nei decenni immediatamente successivi alla morte di Francesco: si stava
verificando un culto quasi parallelo a quello di Cristo, come se Francesco
fosse un nuovo messia. Si spiegano quindi quei provvedimenti, negli anni 60
del Duecento, che erano intesi a eliminare, o quanto meno a tenere sotto
controllo, le leggende che fiorivano spontanee su questo scomodo
personaggio.
A quanto pare, senza molto successo...
Oltre che nel testo della "prova inconfutabile" n. 32, in un suo scritto,
intitolato pomposamente «Aquisgrana in Val di Chienti fu la "sedes prima
Franciae"», Carnevale espone i medesimi concetti con parole leggermente
differenti:
«Fonti francescane riferiscono che la madre di San Francesco veniva dalla
Francia, che suo marito BERNARDONE andava spesso da Assisi in Francia per
vendervi stoffe, che per ragioni di commercio vi INVIAVA frequentemente il
figlio Francesco, che ne conosceva e ne parlava la lingua senza avere mai
attraversato le Alpi.»
Ora che abbiamo visto cosa dicono in realtà le "fonti" di cui ciancia il
Carnevale, possiamo agevolmente constatare che egli non è stato nemmeno in
grado di capire che il padre di Francesco si chiamava Pietro, e non
Bernardone. Lo ripete ben due volte. E se questo è un indicatore della sua
capacità di comprendonio, allora si spiega tutto il resto...
Si faccia caso, inoltre, che in NESSUNA versione si dice che la madre,
madonna Pica, venisse dalla Francia. Questa sarebbe proprio un'invenzione di
Carnevale. Quanto ai commerci del padre con la Francia, ne parla solo la
"Leggenda dei tre compagni", ma nelle moderne agiografie spesso si cita più
precisamente la Provenza, che era la regione più evoluta della Francia.
Tutte le fonti sono poi concordi nell'affermare che Francesco trascorse la
giovinezza ad Assisi, in allegra compagnia, e l'iniziazione al mestiere
paterno avvenne nel fondaco di famiglia. Nessuno attesta che il padre lo
portasse con sè in Francia, e tanto meno che vi venisse "inviato" da solo.
Questa è un'altra invenzione di Carnevale.
Sull'istruzione del giovane c'è poi il più completo disaccordo. Conosceva
davvero il francese? Alcuni parlano di "istruzione sommaria", di rudimenti
di francese appresi dal padre viaggiatore; altri (indulgendo un po' troppo
al pericoloso parallelo con Gesù fanciullo) ne fanno una specie di
bimbo-prodigio "istruito in latino, in francese, e nella lingua e
letteratura provenzale"!
Infine, sul nome Francesco, sovrapposto all'originario Giovanni, si
soffermano tutti gli agiografi, presumendo una gratitudine del mercante
Pietro nei confronti della terra che gli procurava ricchezza e benessere.
Invece è segnalato da Tommaso da Celano, suo contemporaneo, come nome più
che insolito, addirittura *unico*, e svincolato dalle frequentazioni
paterne: «ebbe questo nome dalla divina Provvidenza, affinché per la sua
originalità e novità si diffondesse più facilmente in tutto il mondo».
Il che porterebbe a concludere che, probabilmente, la persistente
convinzione che il mercante di stoffe andasse spesso in Francia (circostanza
non attestata da Tommaso e da Bonaventura) nasca dal bisogno dell'autore dei
"Tre compagni", di giustificare lo strano nome che questi diede a suo
figlio.
Carnevale, rifutando di credere che si trattasse della Francia al di là
delle Alpi, si inventa allora i viaggi di Francesco in Francia "senza aver
mai attraversato le Alpi", e spiega così la sua conoscenza del francese,
appreso... nel Piceno.
Mi soffermo un attimo sulla "logica" di queste affermazioni così...
probanti.
Prima di ogni altra cosa, ne deriva che nel Piceno si parlasse correntemente
il francese. E quale, di preciso? Lingua d'oil o lingua d'oc? Sarebbe già
sufficiente questa "sparata" per liquidare tutta la faccenda con una risata,
e finirla lì. Però... Sarò forse sadico, ma voglio arrivare fino in fondo a
questa faccenda, e sviscerarne tutta la demenzialità.
Pur prendendo per buone le leggende, e cioè accreditando Francesco della
conoscenza del francese (e/o del provenzale), Carnevale è così sicuro che
per imparare una lingua occorra proprio recarsi "in loco"? Quale bisogno
c'era di inventarsi viaggi inesistenti (ma senza attraversare le Alpi,
naturalmente! Dove sta scritto che invece attraversava l'Appennino?),
quando poteva aver imparato il francese dal padre? Se poi si inventa anche
una madre francese, si dà la zappa sui piedi, perché con entrambi i genitori
bilingui solo un bimbo particolarmente zuccone non imparerebbe il francese
:-)
E questo INDIPENDENTEMENTE da cosa si intenda per Francia, sia chiaro! E'
Carnevale che insiste nel dire che se Francesco apprese il francese senza
attraversare le Alpi, allora la Francia era nel Piceno! Impeccabile
sillogismo :-)
La verità è che tutte le notizie pervenute sulla giovinezza di Francesco,
dal XIII secolo ad oggi, sono prive di certezze "storiche". Eppure Carnevale
pretende, magari col rinforzo di un paio di invenzioni ad hoc, che esse
PROVINO qualcosa... Ma quando mai. L'unica cosa che Carnevale riesce a
provare è la sua totale incapacità di provare qualsiasi altra cosa.
Chiarito questo punto, eccoci ai Fioretti, che, dice Carnevale, "nacquero
nel Piceno".
Questa affermazione nasce dall'attribuzione (incerta) a fra' Ugolino da
Montegiorgio dell'originale latino dei Fioretti, conosciuto col nome di
"Actus beati Francisci et sociurum Eius" o anche "Floretum" (florilegio).
Opera che, è bene ricordarlo, è più tarda di un secolo rispetto alle fonti
biografiche viste più sopra: viene datata normalmente tra il 1327 el 1340.
Forse ha avuto anche un continuatore, che si pensa sia un altro marchigiano,
fra Ugolino da Sarnano, ma siamo nel campo delle pure ipotesi.
Così anche per la traduzione in volgare fiorentino (usata da Carnevale per
la sua citazione), che ufficialmente è opera di un anonimo toscano, eseguita
dopo il 1375, ma ufficiosamente è attribuita al francescano fra' Giovanni
dei Marignolli, conosciuto come scrittore di pie leggende.
Ciò che vorrebbe insinuare il Carnevale, sottolineando l'origine picena dei
Fioretti, è che i termini "Francia" e "Roma", presenti nel XIII, sono da
intendersi rispettivamente il Piceno e la città morta presso Urbisaglia,
perché, anche se per il resto del mondo quei nomi erano stati cancellati
dalla memoria, così usava ancora chiamarle la tradizione locale (di cui fra'
Ugolino era senz'altro a conoscenza, in quanto originario di Montegiorgio).
Così, quando nel Fioretto XIII si nomina la "provincia di Francia", secondo
il Carnevale si allude al Piceno, e in particolare a quella zona nella
diocesi di Fermo in cui egli colloca Aquisgrana, la Nuova Roma e la Francia
"delle origini". Dopo in traumatico declino era diventata, evidentemente,
una semplice provincia: per i marchigiani (e solo per essi), la provincia di
Francia, appunto.
Come prima osservazione, dirò che la "provincia" era allora una divisione
ecclesiastica, e non civile: e di quelle province ecclesiastiche si
conoscono assai bene il nome e la localizzazione.
Lo storico seicentesco fra' Luigi Torelli, in "Secoli Agostiniani", ci
spiega qual'era, ai tempi di Ugolino di Montegiorgio, la vera "provincia di
Francia":
«Claudio Roberto nella sua Gallia Christiana alla pagina 226 nel Cattalogo,
che egli tesse de' Vescovi della Città d'Amiens nella Provincia di
Piccardia, scrive, che nel tempo in cui era Vescovo della detta Città
Guglielmo di Matiscone, entrarono in quella nobil Patria a fondare un
Monistero di loro Religione, li nostri Padri della Provincia di Francia,
hora volgarmente detta Parisiense.»
[Tomo V, Anni di Christo 1307 - della Religione 921]
A questo punto Carnevale potrebbe obiettare che sì, nel 1307 ormai per tutti
la provincia di Francia era "diventata" la regione parigina, ma che nel
Piceno ben si ricordava come la Francia fosse nata in quelle loro lande: e
con ostinazione fra' Ugolino chiamava col nome tradizionale di "provincia di
Francia" il territorio fermano.
Ma se Carnevale avesse proseguiti la lettura dei Fioretti (o, meglio di
"Actus beati Francisci"), avrebbe notato che nel Caput LII, il marchigiano
Ugolino scrive:
«Tempore quo fr. Iacobus de Fallerono, sanctus homo, infirmabatur in loco
Molliani, in Firmana custodia et provincia Marchie...»
Qui sta parlando di Mogliano nella diocesi di Fermo, giusto a una decina di
km. dalla fantomatica "Roma" nell'altrettanto fantomatica "provincia di
Francia"...
E la *provincia Marchie* viene menzionata anche nel Caput XLVIII e nel LVII,
tanto per fugare ogni dubbio...
Venendo al contenuto del Fioretto XIII, tanto caro a Carnevale, non posso
esimermi dal confessare un certo imbarazzo nel discutere di storia e
geografia sopra un testo allegorico così irreale e fantasioso, che la stessa
Chiesa invita a leggere con un atteggiamento del tutto acritico (Samuel
Coleridge lo definiva "sospensione temporanea dell'incredulità") .
Già, perché il nostro furbo "esegeta" cita solo dei passi relativamente
innocui, omettendo opportunamente di spiegare come Francesco, infervorato di
fede dopo una preghiera, faccia levitare COL PROPRIO FIATO il grosso e
pesante fra' Masseo; e come, turbato da ciò, decida di recarsi a Roma, nella
chiesa dei SS. apostoli Pietro e Paolo, dove ha con loro un colloquio
chiarificatore...
Certamente tutto ciò ha a molto che fare con la fede, ma NULLA con la
realtà, con la storia e con la geografia. Tra i Fioretti, è forse l'episodio
più ermetico (che ha infatti scatenato infinite interpretazioni in chiave
esoterica).
Per inciso, il significato spirituale che ne dà Carnevale è uno dei più
brutti e puerili che mi sia capitato di leggere: tra le tante altre
interpretazioni che si sono succedute nei secoli, finora ne ho trovato solo
una abbastanza convincente, ma non è il caso di discuterla in questa sede.
Passo senz'altro all'analisi delle tante incongruenze della ricostruzione
"geografica" che ne fa Carnevale.
E' vero che, dalla valle di Spoleto, da dove presumibilmente i due erano
partiti, o si va verso la Francia, o si va verso Roma: le direzioni sono
infatti opposte. Di ciò approfitta Carnevale per annunciare, gongolando, che
per lui Roma e la Francia si trovano nella stessa direzione: anzi, una è
addirittura dentro l'altra! Senonché, quando alla fine i due escono dalla
chiesa dei SS. Pietro e Paolo, RINUNCIANO ad andare in Francia, com'era nei
loro propositi: «obliti ire in Franciam, sicut proposuerant primitus, ad
vallem Spoletanam cum festinatione redierunt».
Ma se la Roma di cui si parla non è quella papalina, bensì quella...
carnevalesca in Val di Chienti, in Francia c'erano già! Come si spiega
quell'obiliti IRE in Franciam?
Naturalmente non c'è alcuna logica "normale" nel testo, ma il tentativo di
razionalizzarlo da parte di Carnevale riesce solo a renderlo ancora più
irrazionale...
Il nostro tuttologo dovrebbe anche spiegare un'altra cosa, visto che scrive
"è EVIDENTE che si tratta della Francia e della Roma picene.» Dimostri
l'evidenza dell'esistenza di una chiesa intitolata ai SS. Pietro e Paolo
nella "Roma" picena. Si noti che il Caput XIII non accenna affatto ai ruderi
di una chiesa distrutta, ma dice testualmente «Cum pervenissent ergo Romam,
intraverunt ecclesiam Principis apostolorum, Petri beatissimi; et postquam
intraverunt, s. Franciscus perrexit ad unum angulum ipsius ecclesie et fr.
Masseus ad alium».
Secondo la "teoria" di Carnevale, la Roma chientina fu completamente
distrutta verso la fine del XII secolo, e i ruderi che oggi vediamo presso
Urbisaglia sono proprio i ruderi di QUELLA Roma. Benissimo, dove si trova la
chiesa dei SS. Pietro e Paolo, e perché era ancora in piedi quando Francesco
e Masseo vi fecero visita?
Un'altra spiegazione andrebbe data per il NOME. In più di un'occasione,
Carnevale cita il canto XVI del Paradiso, in cui Dante accenna alla
distruzione di Urbisaglia ("Luni ed Urbisaglia son come ite..."), ma poiché
quella sfortunata città, fino al secolo prima, si doveva chiamare Roma, egli
così lo spiega, nel suo solito cervellotico modo: «testimonia che nel 1300
era già stato riesumato il toponimo URBISAGLIA, dalla romana Urbs Salvia, le
cui rovine erano localizzate nel vicino Pian di Pieca.»
Mi ero già occupato di questa assurda idea di Carnevale, secondo la quale si
sarebbe deciso di chiamare la ex Nuova Roma col nome di una città estinta, e
pure distante una quarantina di km.
Le evidenze storico-documentali ed archeologiche parlano da sole. Urbisaglia
si chiama così dal X secolo, proprio perché costruita sul colle che domina
le rovine della romana Urbs Salvia, che è sempre stata lì dov'è ora, e non
a Pian di Pieca.
Ma il punto è questo: se nel 1300 era già stato "riesumato" un antico
toponimo Urbisaglia per "nascondere" il suo vero nome, come mai, nel 1330
circa, l'autore di Actus beati Francisci la chiama Roma? Ancora perché, da
buon marchigiano, si ostinava a usare i nomi "della tradizione"?
Allora, nel Fioretto XVIII, quando si dice :«santo Domenico, capo e
fondamento dell'Ordine de' frati Predicatori, il quale allora andava di
Borgogna a Roma..» si deve intendere che andasse a vedere le rovine della
Val di Chienti, invece che a incontrare il papa ???
Un'ultima osservazione: Carnevale approfitta anche di quest'occasione per
spacciare la sua panzana della "Urbs Aurea in comitatu Camerino", che altro
non sarebbe, per lui, che... la Roma picena. Ne parlerò più diffusamente in
altra sede, per ora si sappia che la dizione *Urbs Aurea* è una
mistificazione del Carnevale sopra un documento dell'XI secolo, nel quale si
trattava la vendita di parte del territorio di Villamagna (una delle due
"filiazioni" dell'antica Urbs Salvia: l'altra è Urbisaglia), e vi si trovano
le formule "in comitatu Camerino, infra privilegio Urbisaurea" e
"Urbisaurea infra comitatu Camerino".
Si tratta sempre di Urbisaglia, in una variante grafica inconsueta (era più
spesso scritta come Orvesalia, Orvessalia, Urbisalia), come risulta chiaro
dal contesto del documento. Nel quale il nominativo URBS non viene mai
usato, anche quando il caso lo richiede.
Il lupo Carnevale perde il pelo ma non il vizio di "truccare" ogni documento
che gli capiti tra le mani...
--
Piero F.
riguarda la "Francia" e la "Nuova Roma": e credo di aver dimostrato, ad
abundantiam, non solo la ridicolaggine della tesi carnevalesca, ma anche le
precise ragioni della sua inconsistenza.
Vediamo ora come Carnevale strombazzi ai quattro venti che la "tradizione
popolare italiana" perpetuava il ricordo di quei nomi e di quei fatti, ma,
non trovando nulla a sostegno della sua sbruffonata, si aggrappi a un oscuro
ed ermetico Fioretto di San Francesco, nel quale egli CREDE di ravvisare
qualche indizio a suo favore. E' comunque tipico del suo procedimento
mentale il ricercare in testi di fantasia le "prove" che gli vengono negate
da testi storici (si veda la sua predilezione per Notker, per Angilberto e
altri affabulatori). Eh, ma nemmeno stavolta riesce a passarla liscia...
IL PICENO E' LA CULLA DELLA LINGUA FRANCESE?
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32. Ancora dopo il Mille la tradizione popolare italiana continuava a
chiamare "Francia" il Piceno: la madre di S. Francesco (1181-1226) veniva
dalla "Francia", il padre Bernardone andava spesso da Assisi in Francia per
vendervi stoffe; per ragioni di commercio vi si recava con Francesco (Fonti
francescane, Editrici Francescane, Padova- Assisi 1980 p.1956), il quale era
in grado di esprimersi in "francese" senza avere mai attraversato le Alpi.
Inoltre è interessante citare il contenuto di un episodio dei Fioretti, il
XIII, in cui si narra che S. Francesco si recò con frate Masseo a Roma , in
Francia, e andò a pregare nella chiesa di S. Pietro. Eccone i passi
salienti:
«Francesco con frate Masseo per compagno, prese il cammino verso la
provincia di Francia. E pervenendo un dì a una villa assai affamati,
andarono, secondo la Regola, mendicando del pane per l' amor di Dio.Fatta
orazione e presa la refezione corporale di questi pezzi di pane e di quella
acqua, si levarono per camminare in Francia.Giunsono a Roma ed entrarono
nella chiesa di santo Pietro, e santo Francesco si puose in orazione. Il
Fioretto si conclude raccontando che san Francesco in Francia, in San
Pietro, fu assicurato dagli apostoli Pietro e Paolo che Dio concedeva a lui
e ai suoi seguaci il tesoro della santissima povertà. Dopo di che pieni di
letizia determinarono di tornare nella valle di Spulito, lasciando l'andare
in Francia".È evidente che si tratta della Francia e della Roma picene,
testimoni, con i loro recenti, eloquenti ruderi, che tutto è vanitas
vanitatum. I Fioretti nacquero nel Piceno. Dall'implicito confronto tra la
povertà evangelica e 'Roma' in Francia, già Urbs aurea in comitatu Camerino,
ora in totale rovina, derivava che vero, indistruttibile tesoro era la
povertà di Francesco»
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Se ora mi soffermerò sulla vita di un santo, non è per devozione religiosa,
ma perché Carnevale tende a spacciare per "fonti storiche" un coacervo di
leggende agiografiche, anche piuttosto tarde.
Le Fonti Francescane citate sono consultabili anche in rete presso il sito
ufficiale della Basilica di Assisi
(www.sanfrancescoassisi.org/index.php?lang=ita > San Francesco > Le fonti
francescane biografiche), e, da quelle, poco o nulla emerge dell'infanzia
del santo.
Cronologicamente, la prima biografia è la "Vita prima di San Francesco d'
Assisi", che il francescano abruzzese Tommaso da Celano (c. 1190 / c. 1260)
compilò tra il 1228 e l'inizio del 1229, seguita da una più tarda "Vita
seconda" (1246/47) che fra' Tommaso compilò in seguito all'ingiunzione,
fatta dal Capitolo generale di Genova del 1244, «di scrivere i fatti e
persino le parole» di Francesco, e non già di limitarsi ai «signa et
prodigia».
Tuttavia, entrambe queste tempestive biografie vennero condannate alla
distruzione dal capitolo di Parigi del 1266, nel tentativo di stroncare
un'ormai incontrollabile fiorire di leggende agiografiche apocrife. Ma copie
di quei manoscritti sopravvissero ugualmente, e furono riscoperte nel XVIII
secolo.
La biografia "ufficiale" e autorizzata di San Francesco, rimase per secoli
quella commissionata a Bonaventura di Bagnoregio, detta "Leggenda maggiore".
Incaricato dal Capitolo generale di Narbona del 1260, Bonaventura presentava
la sua opera al successivo Capitolo generale di Pisa del 1263, riscuotendo
un «successo» che gli verrà confermato nel Capitolo generale di Parigi del
1266, allorché si decretò la distruzione di tutte le precedenti biografie
per fare spazio alla sola "Leggenda maggiore" (così chiamata perché esiste
una "Leggenda minore", più breve, composta ad uso corale).
Esiste poi una cosiddetta "Leggenda dei tre compagni", datata (con qualche
dubbio) 1246, che sfuggì alla "censura" dell'epoca, e che completa il
trittico classico delle fonti biografiche duecentesche.
Ebbene, quelle fonti, pur essendo quasi contemporanee a Francesco, liquidano
molto in fretta l'infanzia e la giovinezza del santo.
Tommaso da Celano, Vita prima di San Francesco d'Assisi:
«1. Viveva ad Assisi, nella valle spoletana, un uomo di nome Francesco. Dai
genitori ricevette fin dalla infanzia una cattiva educazione, ispirata alle
vanità del mondo. Imitando i loro esempi, egli stesso divenne ancor più
leggero e vanitoso.»
Tommaso da Celano, Vita seconda di San Francesco d'Assisi:
«3. Il servo e amico dell'Altissimo, Francesco, ebbe questo nome dalla
divina Provvidenza, affinché per la sua originalità e novità si diffondesse
più facilmente in tutto il mondo la fama della sua missione. La madre lo
aveva chiamato Giovanni, quando rinascendo dall'acqua e dallo Spirito Santo,
da figlio d'ira era divenuto figlio della grazia.
Specchio di rettitudine, quella donna presentava nella sua condotta, per
così dire, un segno visibile della sua virtù. Infatti, fu resa partecipe,
come privilegio, di una certa somiglianza con l'antica santa Elisabetta, sia
per il nome imposto al figlio, sia anche per lo spirito profetico. Quando i
vicini manifestavano la loro ammirazione per la generosità d'animo e
l'integrità morale di Francesco, ripeteva, quasi divinamente ispirata: «Cosa
pensate che diverrà, questo mio figlio? Sappiate, che per i suoi meriti
diverrà figlio di Dio».
San Bonaventura da Bagnoregio, Leggenda maggiore:
«1. Vi fu, nella città di Assisi, un uomo di nome Francesco, la cui memoria
è in benedizione, perché Dio, nella Sua bontà, lo prevenne con benedizioni
straordinarie e lo sottrasse, nella sua clemenza, ai pericoli della vita
presente e, nella sua generosità, lo colmò con i doni della grazia celeste.
Nell'età giovanile, crebbe tra le vanità dei vani figli degli uomini.
Dopo un'istruzione sommaria, venne destinato alla lucrosa attività del
commercio.»
San Bonaventura da Bagnoregio, Leggenda minore:
«Nato nella città di Assisi, dalle parti della valle di Spoleto, egli
dapprima fu chiamato Giovanni dalla madre; poi, Francesco, dal padre: e
certo egli tenne, quanto al suono, il nome imposto dal padre, ma, quanto al
significato, realizzò quello del nome imposto dalla madre.
Durante l'età giovanile fu allevato nelle vanità, in mezzo ai vani figli
degli uomini, e, dopo un'istruzione sommaria, venne destinato alla lucrosa
attività del commercio: eppure, per l'assistenza e la protezione divina, non
seguì gli istinti sfrenati della carne, benché in mezzo a giovani
licenziosi, e, benché in mezzo a mercanti tesi al guadagno, non ripose la
sua speranza nel danaro e nei tesori.»
Leggenda dei tre compagni:
«2. Francesco fu oriundo di Assisi, nella valle di Spoleto. Nacque durante
un'assenza del padre, e la madre gli mise nome Giovanni; ma, tornato il
padre dal suo viaggio in Francia, cominciò a chiamare Francesco il suo
figlio.»
Tutto qui. Tuttavia, nelle moderne versioni della vita di Francesco
d'Assisi, si leggono notizie sulla sua infanzia, che evidentemente non
derivano da quelle primissime biografie.
«Francesco nasce ad Assisi nell'inverno del 1182 da Pietro di Bernardone e
Madonna Pica, una delle famiglie più agiate della città.
Il padre commerciava in spezie e stoffe. La nascita di Francesco lo coglie
lontano da Assisi, mentre era in Provenza, occupato nella sua professione.
La madre scelse il nome di Giovanni, nome che fu subito cambiato in
Francesco quando tornò il padre. La fanciullezza trascorse serenamente in
famiglia e Francesco potè studiare il latino, il volgare, il provenzale e la
musica; le sue note insieme alle sue poesie, furono sempre apprezzate nelle
feste della città. Il padre desiderava avviarlo al più presto all'attività
del commercio.»
[www.san-francesco.org]
«San Francesco d'Assisi nacque ad Assisi nel 1182 ca. e morì nel 1226.
Giovanni Francesco Bernardone, figlio di un ricco mercante di stoffe,
istruito in latino, in francese, e nella lingua e letteratura provenzale,
condusse da giovane una vita spensierata e mondana...»
[www.san-francesco.it]
Evidentemente nel corso dei secoli si sono consolidate altre leggende,
arricchendo di particolari i racconti (in effetti molto scarni e sbrigativi)
riportati nelle principali fonti.
Ireneo Bellotta, in "I santi patroni d'Italia", riassume tutti quei
particolari sull'infanzia di Francesco, ma cerca di mantenere un certo
spirito critico nei confronti degli "eccessi di devozione":
«Dal mercante di panni Pietro di Bernardone, nel 1182, nacque in Assisi
Giovanni, così chiamato per la devozione del padre verso S. Giovanni
Battista, che ebbe poi mutato il nome in Francesco, significante «francese»,
a ricordare i frequenti viaggi che Pietro faceva in Francia per commercio.
La madre, Pica, nome probabilmente indicante le «voglie» delle gravide,
dette piche, al momento del parto volle essere portata in un presepe
domestico costruito al pian terreno della casa, e il bambino fu deposto
accanto al bambino Gesù. Proprio il presepe divenne una cappella, detta
Stalletta o Oratorio di S. Francesco piccolino, sulla quale fu apposta, nel
XIV secolo una iscrizione latina: «questo oratorio fu la stalla del bue e
dell'asino: nella quale è nato San Francesco, specchio del mondo».
*** E' evidente il persistente tentativo, più volte confermato nei secoli,
di adeguare il santo allo stesso Gesù e di far corrispondere le vicende
della sua vita al modello divino.***
Francesco apprese i primi rudimenti del sapere nella scuola parrocchiale di
S. Giorgio, e dal padre ebbe nozioni elementari di provenzale.»
Bellotta sottolinea proprio il punto che creava tanti grattacapi alla Chiesa
nei decenni immediatamente successivi alla morte di Francesco: si stava
verificando un culto quasi parallelo a quello di Cristo, come se Francesco
fosse un nuovo messia. Si spiegano quindi quei provvedimenti, negli anni 60
del Duecento, che erano intesi a eliminare, o quanto meno a tenere sotto
controllo, le leggende che fiorivano spontanee su questo scomodo
personaggio.
A quanto pare, senza molto successo...
Oltre che nel testo della "prova inconfutabile" n. 32, in un suo scritto,
intitolato pomposamente «Aquisgrana in Val di Chienti fu la "sedes prima
Franciae"», Carnevale espone i medesimi concetti con parole leggermente
differenti:
«Fonti francescane riferiscono che la madre di San Francesco veniva dalla
Francia, che suo marito BERNARDONE andava spesso da Assisi in Francia per
vendervi stoffe, che per ragioni di commercio vi INVIAVA frequentemente il
figlio Francesco, che ne conosceva e ne parlava la lingua senza avere mai
attraversato le Alpi.»
Ora che abbiamo visto cosa dicono in realtà le "fonti" di cui ciancia il
Carnevale, possiamo agevolmente constatare che egli non è stato nemmeno in
grado di capire che il padre di Francesco si chiamava Pietro, e non
Bernardone. Lo ripete ben due volte. E se questo è un indicatore della sua
capacità di comprendonio, allora si spiega tutto il resto...
Si faccia caso, inoltre, che in NESSUNA versione si dice che la madre,
madonna Pica, venisse dalla Francia. Questa sarebbe proprio un'invenzione di
Carnevale. Quanto ai commerci del padre con la Francia, ne parla solo la
"Leggenda dei tre compagni", ma nelle moderne agiografie spesso si cita più
precisamente la Provenza, che era la regione più evoluta della Francia.
Tutte le fonti sono poi concordi nell'affermare che Francesco trascorse la
giovinezza ad Assisi, in allegra compagnia, e l'iniziazione al mestiere
paterno avvenne nel fondaco di famiglia. Nessuno attesta che il padre lo
portasse con sè in Francia, e tanto meno che vi venisse "inviato" da solo.
Questa è un'altra invenzione di Carnevale.
Sull'istruzione del giovane c'è poi il più completo disaccordo. Conosceva
davvero il francese? Alcuni parlano di "istruzione sommaria", di rudimenti
di francese appresi dal padre viaggiatore; altri (indulgendo un po' troppo
al pericoloso parallelo con Gesù fanciullo) ne fanno una specie di
bimbo-prodigio "istruito in latino, in francese, e nella lingua e
letteratura provenzale"!
Infine, sul nome Francesco, sovrapposto all'originario Giovanni, si
soffermano tutti gli agiografi, presumendo una gratitudine del mercante
Pietro nei confronti della terra che gli procurava ricchezza e benessere.
Invece è segnalato da Tommaso da Celano, suo contemporaneo, come nome più
che insolito, addirittura *unico*, e svincolato dalle frequentazioni
paterne: «ebbe questo nome dalla divina Provvidenza, affinché per la sua
originalità e novità si diffondesse più facilmente in tutto il mondo».
Il che porterebbe a concludere che, probabilmente, la persistente
convinzione che il mercante di stoffe andasse spesso in Francia (circostanza
non attestata da Tommaso e da Bonaventura) nasca dal bisogno dell'autore dei
"Tre compagni", di giustificare lo strano nome che questi diede a suo
figlio.
Carnevale, rifutando di credere che si trattasse della Francia al di là
delle Alpi, si inventa allora i viaggi di Francesco in Francia "senza aver
mai attraversato le Alpi", e spiega così la sua conoscenza del francese,
appreso... nel Piceno.
Mi soffermo un attimo sulla "logica" di queste affermazioni così...
probanti.
Prima di ogni altra cosa, ne deriva che nel Piceno si parlasse correntemente
il francese. E quale, di preciso? Lingua d'oil o lingua d'oc? Sarebbe già
sufficiente questa "sparata" per liquidare tutta la faccenda con una risata,
e finirla lì. Però... Sarò forse sadico, ma voglio arrivare fino in fondo a
questa faccenda, e sviscerarne tutta la demenzialità.
Pur prendendo per buone le leggende, e cioè accreditando Francesco della
conoscenza del francese (e/o del provenzale), Carnevale è così sicuro che
per imparare una lingua occorra proprio recarsi "in loco"? Quale bisogno
c'era di inventarsi viaggi inesistenti (ma senza attraversare le Alpi,
naturalmente! Dove sta scritto che invece attraversava l'Appennino?),
quando poteva aver imparato il francese dal padre? Se poi si inventa anche
una madre francese, si dà la zappa sui piedi, perché con entrambi i genitori
bilingui solo un bimbo particolarmente zuccone non imparerebbe il francese
:-)
E questo INDIPENDENTEMENTE da cosa si intenda per Francia, sia chiaro! E'
Carnevale che insiste nel dire che se Francesco apprese il francese senza
attraversare le Alpi, allora la Francia era nel Piceno! Impeccabile
sillogismo :-)
La verità è che tutte le notizie pervenute sulla giovinezza di Francesco,
dal XIII secolo ad oggi, sono prive di certezze "storiche". Eppure Carnevale
pretende, magari col rinforzo di un paio di invenzioni ad hoc, che esse
PROVINO qualcosa... Ma quando mai. L'unica cosa che Carnevale riesce a
provare è la sua totale incapacità di provare qualsiasi altra cosa.
Chiarito questo punto, eccoci ai Fioretti, che, dice Carnevale, "nacquero
nel Piceno".
Questa affermazione nasce dall'attribuzione (incerta) a fra' Ugolino da
Montegiorgio dell'originale latino dei Fioretti, conosciuto col nome di
"Actus beati Francisci et sociurum Eius" o anche "Floretum" (florilegio).
Opera che, è bene ricordarlo, è più tarda di un secolo rispetto alle fonti
biografiche viste più sopra: viene datata normalmente tra il 1327 el 1340.
Forse ha avuto anche un continuatore, che si pensa sia un altro marchigiano,
fra Ugolino da Sarnano, ma siamo nel campo delle pure ipotesi.
Così anche per la traduzione in volgare fiorentino (usata da Carnevale per
la sua citazione), che ufficialmente è opera di un anonimo toscano, eseguita
dopo il 1375, ma ufficiosamente è attribuita al francescano fra' Giovanni
dei Marignolli, conosciuto come scrittore di pie leggende.
Ciò che vorrebbe insinuare il Carnevale, sottolineando l'origine picena dei
Fioretti, è che i termini "Francia" e "Roma", presenti nel XIII, sono da
intendersi rispettivamente il Piceno e la città morta presso Urbisaglia,
perché, anche se per il resto del mondo quei nomi erano stati cancellati
dalla memoria, così usava ancora chiamarle la tradizione locale (di cui fra'
Ugolino era senz'altro a conoscenza, in quanto originario di Montegiorgio).
Così, quando nel Fioretto XIII si nomina la "provincia di Francia", secondo
il Carnevale si allude al Piceno, e in particolare a quella zona nella
diocesi di Fermo in cui egli colloca Aquisgrana, la Nuova Roma e la Francia
"delle origini". Dopo in traumatico declino era diventata, evidentemente,
una semplice provincia: per i marchigiani (e solo per essi), la provincia di
Francia, appunto.
Come prima osservazione, dirò che la "provincia" era allora una divisione
ecclesiastica, e non civile: e di quelle province ecclesiastiche si
conoscono assai bene il nome e la localizzazione.
Lo storico seicentesco fra' Luigi Torelli, in "Secoli Agostiniani", ci
spiega qual'era, ai tempi di Ugolino di Montegiorgio, la vera "provincia di
Francia":
«Claudio Roberto nella sua Gallia Christiana alla pagina 226 nel Cattalogo,
che egli tesse de' Vescovi della Città d'Amiens nella Provincia di
Piccardia, scrive, che nel tempo in cui era Vescovo della detta Città
Guglielmo di Matiscone, entrarono in quella nobil Patria a fondare un
Monistero di loro Religione, li nostri Padri della Provincia di Francia,
hora volgarmente detta Parisiense.»
[Tomo V, Anni di Christo 1307 - della Religione 921]
A questo punto Carnevale potrebbe obiettare che sì, nel 1307 ormai per tutti
la provincia di Francia era "diventata" la regione parigina, ma che nel
Piceno ben si ricordava come la Francia fosse nata in quelle loro lande: e
con ostinazione fra' Ugolino chiamava col nome tradizionale di "provincia di
Francia" il territorio fermano.
Ma se Carnevale avesse proseguiti la lettura dei Fioretti (o, meglio di
"Actus beati Francisci"), avrebbe notato che nel Caput LII, il marchigiano
Ugolino scrive:
«Tempore quo fr. Iacobus de Fallerono, sanctus homo, infirmabatur in loco
Molliani, in Firmana custodia et provincia Marchie...»
Qui sta parlando di Mogliano nella diocesi di Fermo, giusto a una decina di
km. dalla fantomatica "Roma" nell'altrettanto fantomatica "provincia di
Francia"...
E la *provincia Marchie* viene menzionata anche nel Caput XLVIII e nel LVII,
tanto per fugare ogni dubbio...
Venendo al contenuto del Fioretto XIII, tanto caro a Carnevale, non posso
esimermi dal confessare un certo imbarazzo nel discutere di storia e
geografia sopra un testo allegorico così irreale e fantasioso, che la stessa
Chiesa invita a leggere con un atteggiamento del tutto acritico (Samuel
Coleridge lo definiva "sospensione temporanea dell'incredulità") .
Già, perché il nostro furbo "esegeta" cita solo dei passi relativamente
innocui, omettendo opportunamente di spiegare come Francesco, infervorato di
fede dopo una preghiera, faccia levitare COL PROPRIO FIATO il grosso e
pesante fra' Masseo; e come, turbato da ciò, decida di recarsi a Roma, nella
chiesa dei SS. apostoli Pietro e Paolo, dove ha con loro un colloquio
chiarificatore...
Certamente tutto ciò ha a molto che fare con la fede, ma NULLA con la
realtà, con la storia e con la geografia. Tra i Fioretti, è forse l'episodio
più ermetico (che ha infatti scatenato infinite interpretazioni in chiave
esoterica).
Per inciso, il significato spirituale che ne dà Carnevale è uno dei più
brutti e puerili che mi sia capitato di leggere: tra le tante altre
interpretazioni che si sono succedute nei secoli, finora ne ho trovato solo
una abbastanza convincente, ma non è il caso di discuterla in questa sede.
Passo senz'altro all'analisi delle tante incongruenze della ricostruzione
"geografica" che ne fa Carnevale.
E' vero che, dalla valle di Spoleto, da dove presumibilmente i due erano
partiti, o si va verso la Francia, o si va verso Roma: le direzioni sono
infatti opposte. Di ciò approfitta Carnevale per annunciare, gongolando, che
per lui Roma e la Francia si trovano nella stessa direzione: anzi, una è
addirittura dentro l'altra! Senonché, quando alla fine i due escono dalla
chiesa dei SS. Pietro e Paolo, RINUNCIANO ad andare in Francia, com'era nei
loro propositi: «obliti ire in Franciam, sicut proposuerant primitus, ad
vallem Spoletanam cum festinatione redierunt».
Ma se la Roma di cui si parla non è quella papalina, bensì quella...
carnevalesca in Val di Chienti, in Francia c'erano già! Come si spiega
quell'obiliti IRE in Franciam?
Naturalmente non c'è alcuna logica "normale" nel testo, ma il tentativo di
razionalizzarlo da parte di Carnevale riesce solo a renderlo ancora più
irrazionale...
Il nostro tuttologo dovrebbe anche spiegare un'altra cosa, visto che scrive
"è EVIDENTE che si tratta della Francia e della Roma picene.» Dimostri
l'evidenza dell'esistenza di una chiesa intitolata ai SS. Pietro e Paolo
nella "Roma" picena. Si noti che il Caput XIII non accenna affatto ai ruderi
di una chiesa distrutta, ma dice testualmente «Cum pervenissent ergo Romam,
intraverunt ecclesiam Principis apostolorum, Petri beatissimi; et postquam
intraverunt, s. Franciscus perrexit ad unum angulum ipsius ecclesie et fr.
Masseus ad alium».
Secondo la "teoria" di Carnevale, la Roma chientina fu completamente
distrutta verso la fine del XII secolo, e i ruderi che oggi vediamo presso
Urbisaglia sono proprio i ruderi di QUELLA Roma. Benissimo, dove si trova la
chiesa dei SS. Pietro e Paolo, e perché era ancora in piedi quando Francesco
e Masseo vi fecero visita?
Un'altra spiegazione andrebbe data per il NOME. In più di un'occasione,
Carnevale cita il canto XVI del Paradiso, in cui Dante accenna alla
distruzione di Urbisaglia ("Luni ed Urbisaglia son come ite..."), ma poiché
quella sfortunata città, fino al secolo prima, si doveva chiamare Roma, egli
così lo spiega, nel suo solito cervellotico modo: «testimonia che nel 1300
era già stato riesumato il toponimo URBISAGLIA, dalla romana Urbs Salvia, le
cui rovine erano localizzate nel vicino Pian di Pieca.»
Mi ero già occupato di questa assurda idea di Carnevale, secondo la quale si
sarebbe deciso di chiamare la ex Nuova Roma col nome di una città estinta, e
pure distante una quarantina di km.
Le evidenze storico-documentali ed archeologiche parlano da sole. Urbisaglia
si chiama così dal X secolo, proprio perché costruita sul colle che domina
le rovine della romana Urbs Salvia, che è sempre stata lì dov'è ora, e non
a Pian di Pieca.
Ma il punto è questo: se nel 1300 era già stato "riesumato" un antico
toponimo Urbisaglia per "nascondere" il suo vero nome, come mai, nel 1330
circa, l'autore di Actus beati Francisci la chiama Roma? Ancora perché, da
buon marchigiano, si ostinava a usare i nomi "della tradizione"?
Allora, nel Fioretto XVIII, quando si dice :«santo Domenico, capo e
fondamento dell'Ordine de' frati Predicatori, il quale allora andava di
Borgogna a Roma..» si deve intendere che andasse a vedere le rovine della
Val di Chienti, invece che a incontrare il papa ???
Un'ultima osservazione: Carnevale approfitta anche di quest'occasione per
spacciare la sua panzana della "Urbs Aurea in comitatu Camerino", che altro
non sarebbe, per lui, che... la Roma picena. Ne parlerò più diffusamente in
altra sede, per ora si sappia che la dizione *Urbs Aurea* è una
mistificazione del Carnevale sopra un documento dell'XI secolo, nel quale si
trattava la vendita di parte del territorio di Villamagna (una delle due
"filiazioni" dell'antica Urbs Salvia: l'altra è Urbisaglia), e vi si trovano
le formule "in comitatu Camerino, infra privilegio Urbisaurea" e
"Urbisaurea infra comitatu Camerino".
Si tratta sempre di Urbisaglia, in una variante grafica inconsueta (era più
spesso scritta come Orvesalia, Orvessalia, Urbisalia), come risulta chiaro
dal contesto del documento. Nel quale il nominativo URBS non viene mai
usato, anche quando il caso lo richiede.
Il lupo Carnevale perde il pelo ma non il vizio di "truccare" ogni documento
che gli capiti tra le mani...
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Piero F.