guardrail
2004-11-18 08:39:08 UTC
La "moda" monastica
Non è sicuro che ci fosse un capitolo sui cappelli in Aristotele; ma è ben
certo che presto o tardi lo storico si imbatte nell'importante problema del
vestito dei religiosi. È questo uno dei capitoli più coloriti e più
complessi della storia della moda anche se, manifestamente, i religiosi
hanno sempre dimostrato la loro volontà di non cedere agli umori cangianti
del secolo, di restare scrupolosamente attaccati ai vestiti che aveva
imposto loro il fondatore, di rispondere alle esigenze di una vita segnata
dall'ideale di povertà, di semplicità e d'austerità, agli imperativi di uno
spirito di corpo molto spinto, marcato dall'uniformi
tà e dalla regolarità.
Ma come vivere nel secolo rendendo manifesta senza stravaganza, la
volontà di viverne se non separato almeno ai margini? Come
non essere del proprio tempo senza sembrare anacronistico?
I problemi relativi all'abbigliamento, alla biancheria, alle calzature, ai
guanti, hanno dunque occupato per secoli lo spirito dei religiosi, come del
resto quello dei militari. Il fatto è che il vestito è sempre carico di un
simbolismo molto ricco. È un segno e una prova di adesione, di solidarietà
contemporaneamente nel tempo e nello spazio. Esso attesta l'unità e di
conseguenza, la forza del gruppo di cui si fa parte.
Ecco, per esempio, quello che dice al proposito la raccolta di Eynsham. Dopo
aver fatto un ritratto di quella che deve essere la vita del monaco «sempre
infiammata dall'amore di Dio» al punto di essere, dice il Cristo,
«l'abitacolo del Regno divino», il testo indica che l'abito e la tonsura
devono senza sosta richiamare al monaco questi obiettivi. «Per questo egli
porterà indumenti poveri e neri, per mostrare che lui stesso si considera un
povero peccatore. Ne sarà coperto dalla testa ai piedi come esortazione a
comportarsi in questo modo dal principio fino alla fine della sua vita.» E
così di seguito.
Un testo di Gilbert Crispin, abate di Wetsminster (morto nel 1119) riassume
molto bene questa funzione dell'abito che deve testimoniare quello che è
l'uomo interiore: «Et qualis homo interior esse debeat semper contestetur».
Prendere l'abito è dunque un atto solenne, poiché attesta la volontà del
monaco di cambiar vita, di assumere ormai l'innocenza e l'umiltà della sua
professione.
Presso i canonici di Marbach il superiore pronuncia una preghiera sull'abito
e invoca lo Spirito Santo perché compia interiormente quello che il
cambiamento d'abito simboleggia.
Nell'ordine dell'Artige per indicare che un monaco è punito, gli si taglia
il suo cappuccio «davanti e dietro (...) come marchio d'infamia». Presso i
cistercensi, il converso colpevole si vede condannato a lavorare in vestiti
civili.
L'abito monastico possiede tante virtù che il solo fatto di aver baciato
l'abito di un frate questuante vale cinque anni di indulgenza e che certi
laici tengono a essere seppelliti nel saio di un monaco. Così il duca di
Borgogna, Filippo l'Ardito, fu interrato con l'abito bianco dei certosini
(1404) che gli servì come sudario. Qualunque fosse stata la vita anteriore
del moribondo - e il Medio Evo è ricco di vite più che avventurose - egli ha
qualche possibilità, così vestito, di acquistare le virtù della penitenza e
dell'umiltà che gli permetteranno - almeno spera - di essere perdonato da
Dio. È quella che si chiama la vestizione Ad succurendum. Con il tempo,
questo costume, diffuso a partire dal IX secolo, si banalizzò. Tutti gli
ordini finirono per accordare questo favore con più o meno facilità. La cosa
si può capire, ma l'abito ne uscì svalutato. È comprensibile che il Medio
Evo, così carico di simbolismo e interamente strutturato in classi sociali,
mestieri e corporazioni nettamente distinte, abbia suscitato presso i
religiosi la ricerca di tutto ciò che poteva sottolineare la loro
appartenenza. Il vestito, proprietà esclusiva di ogni ordine, possiede un
significato essenziale. Da qui le interminabili discussioni che
marcano,secolo dopo secolo, il suo concetto e la sua realizzazione. Tutto è
pretesto per scontri: il colore, il taglio, la lunghezza della tunica,
quella del cappuccio, la cintura, le calzature[...] Ogni riforma si
distingue per qualche novità che si presenta, ben inteso, come un
ritorno alle sorgenti e all'autenticità.
C'è tuttavia un punto sul quale sono tutti d'accordo (almeno in linea di
principio): è l'esigenza di povertà e di semplicità. Quale che sia il tipo
di tessuto - canapa, lana, pelo di capra, pelo di cammello, lino (anche se
il lino è riservato piuttosto al clero secolare, in ricordo del velo di
santa Veronica) - è sempre descritto come rude, irsuto, grossolano, in un
latino che non utilizza certo la litote: vilissima, abjectissi
ma, horrenda.. Il vestito sarà rustico a imitazione di quello dei contadini
e dei pastori: è il caso dei certosini, dei francescani, degli avellaniti.
Questa stessa esigenza di povertà implica anche che non si abbia alcuna
vergogna, anzi il contrario (eccetto i templari che sono monaci-soldati) nel
portare vestiti usati, lisi e rappezzati, di preferenza con stoffe di
tessuto diverso. San Benedetto d'Aniane, per umiltà, metteva pezze di un
altro colore alla sua cocolla, «per attirare - ci dice Hélyot - la derisione
degli altri religiosi che lo insultavano e lo trattavano come un
matto[...]». Possiamo trarne diverse lezioni.
La prima è che il gruppo, qualunque esso sia, e anche se non conta che santi
(cosa ben poco probabile), reagisce sempre di fronte alla devianza.
La seconda è che il senso della gerarchia non era molto acuto in
quell'epoca: «insultare». Benedetto d'Aniane non è cosa da poco.
La terza è che anche i santi possono spingere lontano la loro stranezza. Che
Benedetto d'Aniane in mancanza di meglio abbia variopinto la sua cocolla,
ancora passi. Ma che volontariamente e per mortificarsi si sia comportato
come precursore dei nostri barboni,prova che si può essere un grande uomo e
non sapere fin dove ci si può spingere. Del resto, la Chiesa se le ha
tollerate, non è mai stata favorevole a questo genere di stravaganze. Si
fece ben presto notare che Cristo doveva essere vestito molto bene se i sold
ati si disputarono la tunica senza cuciture che egli vestiva; e che dunque
non c'era ragione di farsi più cattolici del papa.
Altra conseguenza del voto di povertà: la lana non verrà tinta, tingere è
mentire: «Nulla tinctura, nec mendacio defucata». Il capitolo generale dei
cistercensi del 1181, decide di escludere le stoffe tinte e strane (lindi et
curiosi) cioè adatte a suscitare attenzione. È il caso anche degli umiliati,
detti «Berettini della penitenza» e in generale, di tutti coloro che
calcavano l'accento sull'ideale di povertà.
Per forza di cose, risultano notevoli variazioni all'interno dello stesso
ordine. Si pone allora il problema: è meglio porre in evidenza la povertà e
la scarsa cura per gli abiti e rischiare una certa anarchia, o assicurare
non senza qualche spesa l'omogeneità del gruppo? Tutti gli ordini finiranno
per optare per la seconda soluzione.
Un altro problema si pone con il cambiamento di stagioni. Si deve spingere
la mortificazione della carne fino a portare lo stesso vestito d'inverno
come d'estate, andare a piedi nudi, rifiutare la biancheria, o bisogna, per
dovere di discretio, agire saggiamente e tener conto del clima e degli usi
del Paese? E se si adotta la soluzione più ragionevole - non tutti i
religiosi l'hanno fatto e alcuni si sono sottoposti, negli inverni del Nord
a prove incredibili - fino a che punto si può giungere? Si porteranno
pellicce? Guanti? Stivali foderati di pelo? Pietro il Venerabile proibisce
l'uso di pelli d'agnello (agnellini) ai suoi monaci, a eccezione dei
tedeschi e dei religiosi delle regioni «vicine»: ma fino a dove si estende
il vicinato?
Il religioso porterà lo stesso vestito per il lavoro, gli uffici, il sonno,
i santi, i viaggi? Esigenze così diverse imporranno presto soluzioni
d'abbigliamento adatte alle circostanze. L'ingegnosità dei religiosi vi
pervenne con facilità. Nel campo del vestiario i regolamenti sono
straordinariamente minuti. Uno spirito mal disposto o un pò bohème
parlerebbe di mania. Ecco, a titolo di esempio qualche riga tratta da
Hélyot, che descrive l'abito dei brigidini: «Si daranno... ai religiosi due
camicie da lavoro bianche, una tunica grigia, una cocolla uguale alla quale
sono attaccati un cappuccio e un mantello sulla quale i sacerdoti porteranno
dalla parte sinistra, una Croce-Rossa in memoria della Passione di Nostro
Signore e in mezzo alla croce un pezzetto di panno bianco a forma di ostia
in memoria del Santo Sacrifìcio che essi offrono tutti i giorni...» E così
via per i diaconi, i conversi e le suore (il cui mantello sarà abbottonato
«con un nodo di legno» e la «cuffia» trattenuta «sulla sommità del capo con
uno spillone» e sopra questo «soggolo» sarà disposto «un velo di tela nero
fermato con tre spilloni...».
Come nell'esercito, i minimi dettagli hanno qui la loro importanza e il loro
significato. Il colore non costituisce che un approccio grossolano alla
realtà. L'occhio esercitato percepisce subito l'importanza e il significato
dell'uno o dell'altro segno distintivo: la cintura di cuoio nero presso i
domenicani, di corda presso i brettini e i francescani, di lino o di cuoio
di cervo presso i benedettini di Bursfeld, ecc.
Gli apostolini portavano un vestito e uno scapolare e sopra, una grande
pellegrina di stoffa grigia, alla quale era attaccato un piccolo cappuccio.
I gesuati avevano un saio bianco chiuso da una cintura di cuoio, un mantello
bruno chiaro, un gran cappuccio quadrato che ricadeva in pieghe sulle
spalle. I celliti o alessiani si distinguevano per il loro vestito di sargia
nera e lo scapolare, della stessa stoffa, al quale era attaccato un
cappuccio. I boniti portavano una tunica, una cappa o cocolla in stoffa
solida di lana o di canapa con una cintura. Il vestito dei domenicani,
all'origine canonici regolari, è di lana bianca e la cintura di cuoio. Sulla
tunica e sotto il cappuccio, lo scapolare anch'esso di lana bianca, più
corto della tunica. La cappa è nera, senza maniche, con un cappuccio nero.
Quello dei cordiglieri - che sono francescani - comprende in particolare un
piccolo cappuccio, un mantello di grossa stoffa bruna, grigia o nera
(secondo le epoche) più una cintura di corda a tre nodi. In origine, il
vestito francescano era tagliato a forma di croce: «In manicarum et capiti
extensione fìguram crucis praesignamus».
Altri segni permettevano di identificare sul campo l'ordine religioso con il
quale si aveva a che fare. Una croce di lana rossa sulla falda sinistra del
mantello? Si trattava di un templare. Una «stella rossa a cinque punte con
un piccolo cerchio blu intorno»? i betlemmiti. Una croce e due gigli? I
celestini di Francia. Una croce di Malta in seta rossa con sopra una stella
a sei punte? I crocigeri della stella rossa.
I camaldolesi di Murano portano «un cappello bianco foderato di seta nera
fino ai bordi» gli umiliati un berretto di grossa lana grigia, i gesuati
«una cuffia o cappuccio bianco», che usano portare sulle spalle quando hanno
la testa scoperta. I carmelitani della congregazione di Mantova si
distinguono dagli altri carmelitani per un cappello bianco (da cui il
soprannome «del capei bianco») e una cuffia di traliccio con interno nero,
che giunge fino ai bordi...
Ecco direte: è chiaro. Secondo che si appartenga a uno o ad altro ordine o
congregazione si sarà vestiti in modo ben definito, che non lascia alcun
dubbio sull'appartenenza. Sarebbe conoscere molto male la natura umana
credere che così fosse. Il monaco porterà un cappuccio: ma di quale
lunghezza? Il fondatore o i suoi successori non hanno sempre pensato di
precisarlo. Da questo interminabili discussioni su quale deve essere il vero
cappuccio. Ma non c'è solo la lunghezza, c'è la forma. Per esempio i minori
scalzi alla fine del XV secolo portavano un cappuccio quadrato, ma lo
rendevano a punta come quello di San Francesco. E poi, non si sa come, per
rispetto alla regola (puritati regulae, rectitudinem regulae) ma anche delle
tradizioni, apparivano differenze in seno allo stesso ordine, da una
provincia all'altra: i camaldolesi di Francia portano un cappuccio a punta e
uno scapolare che scende fino alle ginocchia mentre i camaldolesi di San
Michele di Murano hanno un cappuccio tondo e uno scapolare lungo quanto
l'abito. Quando si parla di grandi e di piccoli agostiniani, di grandi e di
piccoli carmelitani il più delle volte è a causa delle dimensioni strette o
larghe dei loro abiti.
Tutto questo scatenava, certamente, epiche discussioni tra i fratelli tutti
persuasi gli uni più degli altri di avere ragione. I cappuccini,
soprattutto, uomini focosi quant'altri mai, giunsero a intentare processi ad
altre congregazioni francescane per il colore dell'abito, per la forma dei
sandali di cuoio, del cappuccio, della barba, del bianco cordone che serviva
come cintura, ecc. Detto questo, l'attaccamento dei religiosi al loro abito
è commovente. Il povero papa Gelasio II, un monaco di Montecassino che regnò
soltanto un anno (dal 24 gennaio 1118 al 28 gennaio 1119) e fu oggetto di
mille minacce e di mille angherie da parte dei Frangipani e dell'imperatore
Enrico V, sentendo avvicinarsi la fine, ritornò in Francia e morì nel suo
saio, a Cluny, sdraiato sul suolo.
L'abito caratterizza così bene il religioso che servirà molto spesso a
definirlo: la cintura di corda dei francescani li farà chiamare cordiglieri;
il grigio uniforme dei vallombrosani, monachi grisaei; il beige dei fratelli
della carità, frati bigi, che la forma dello scapolare aveva fatto
soprannominare anche billetes con allusione agli stemmi nobiliari; il
curioso mantello iniziale dei carmelitani fratres barrati o di pica; lo
scapolare in tela di sacco dei fratelli della penitenza, saccati o fratelli
socco; i mantelli dei serviti della Santa Vergine, i bianco-mantati[...]
Altri segni distintivi: alcuni potevano camminare solo a piedi, ad altri era
permesso il cavallo. A condizione, per gli ospitalieri di Sant'Antonio di
Viennois,che quest'ultimo porti una campanella al collo. Ad alcuni (i
trinitari), è concesso solo l'asino, per umiltà: per questo verranno
soprannominati i maturini. Nel 1252 papa Innocenzo IV dispensa i boniti dal
portare il bastone «alto cinque palmi, fatto a forma di stampella» che era
stato loro imposto per differenziarli dai minori. Nel 1255 papa Alessandro
IV ingiunse agli agostiniani di por
tare questo stesso bastone, decisione che fu del resto abrogata l'anno
successivo[...]
Accadde per gli abiti dei religiosi quello che accade per tutte le cose
umane: alcuni finirono nelle stranezze (i francescani della Cappucciola
condannati nel 1434 per questo motivo - tra gli altri!). I cluniacensi
nascosero - Dio solo sa perché; a meno che non fosse per timore di rivelare
la loro identità - lo scapolare stretto che li distingueva. I più stolti
seguirono la moda dei laici, portando scarpe strette e grandi mantelli
chiamati huque secondo l'usanza delle damigelle delle Fiandre (cujusmodi
flandrendes domicellae utuntur) coprendosi di colori vivaci e di cappucci a
forma di corno chiamati coquelucha con riferimento, penso, alla cresta del
gallo, cavalcando pubblicamente con la spada sul fianco.
Sui monaci v'è tanto ancora da scrivere, pertanto restate ancora con noi
su questo schermo (non cambiate canale) e vi assicuro anche un po di di
vertimento oltre che una sana lettura.
Guardrail
Non è sicuro che ci fosse un capitolo sui cappelli in Aristotele; ma è ben
certo che presto o tardi lo storico si imbatte nell'importante problema del
vestito dei religiosi. È questo uno dei capitoli più coloriti e più
complessi della storia della moda anche se, manifestamente, i religiosi
hanno sempre dimostrato la loro volontà di non cedere agli umori cangianti
del secolo, di restare scrupolosamente attaccati ai vestiti che aveva
imposto loro il fondatore, di rispondere alle esigenze di una vita segnata
dall'ideale di povertà, di semplicità e d'austerità, agli imperativi di uno
spirito di corpo molto spinto, marcato dall'uniformi
tà e dalla regolarità.
Ma come vivere nel secolo rendendo manifesta senza stravaganza, la
volontà di viverne se non separato almeno ai margini? Come
non essere del proprio tempo senza sembrare anacronistico?
I problemi relativi all'abbigliamento, alla biancheria, alle calzature, ai
guanti, hanno dunque occupato per secoli lo spirito dei religiosi, come del
resto quello dei militari. Il fatto è che il vestito è sempre carico di un
simbolismo molto ricco. È un segno e una prova di adesione, di solidarietà
contemporaneamente nel tempo e nello spazio. Esso attesta l'unità e di
conseguenza, la forza del gruppo di cui si fa parte.
Ecco, per esempio, quello che dice al proposito la raccolta di Eynsham. Dopo
aver fatto un ritratto di quella che deve essere la vita del monaco «sempre
infiammata dall'amore di Dio» al punto di essere, dice il Cristo,
«l'abitacolo del Regno divino», il testo indica che l'abito e la tonsura
devono senza sosta richiamare al monaco questi obiettivi. «Per questo egli
porterà indumenti poveri e neri, per mostrare che lui stesso si considera un
povero peccatore. Ne sarà coperto dalla testa ai piedi come esortazione a
comportarsi in questo modo dal principio fino alla fine della sua vita.» E
così di seguito.
Un testo di Gilbert Crispin, abate di Wetsminster (morto nel 1119) riassume
molto bene questa funzione dell'abito che deve testimoniare quello che è
l'uomo interiore: «Et qualis homo interior esse debeat semper contestetur».
Prendere l'abito è dunque un atto solenne, poiché attesta la volontà del
monaco di cambiar vita, di assumere ormai l'innocenza e l'umiltà della sua
professione.
Presso i canonici di Marbach il superiore pronuncia una preghiera sull'abito
e invoca lo Spirito Santo perché compia interiormente quello che il
cambiamento d'abito simboleggia.
Nell'ordine dell'Artige per indicare che un monaco è punito, gli si taglia
il suo cappuccio «davanti e dietro (...) come marchio d'infamia». Presso i
cistercensi, il converso colpevole si vede condannato a lavorare in vestiti
civili.
L'abito monastico possiede tante virtù che il solo fatto di aver baciato
l'abito di un frate questuante vale cinque anni di indulgenza e che certi
laici tengono a essere seppelliti nel saio di un monaco. Così il duca di
Borgogna, Filippo l'Ardito, fu interrato con l'abito bianco dei certosini
(1404) che gli servì come sudario. Qualunque fosse stata la vita anteriore
del moribondo - e il Medio Evo è ricco di vite più che avventurose - egli ha
qualche possibilità, così vestito, di acquistare le virtù della penitenza e
dell'umiltà che gli permetteranno - almeno spera - di essere perdonato da
Dio. È quella che si chiama la vestizione Ad succurendum. Con il tempo,
questo costume, diffuso a partire dal IX secolo, si banalizzò. Tutti gli
ordini finirono per accordare questo favore con più o meno facilità. La cosa
si può capire, ma l'abito ne uscì svalutato. È comprensibile che il Medio
Evo, così carico di simbolismo e interamente strutturato in classi sociali,
mestieri e corporazioni nettamente distinte, abbia suscitato presso i
religiosi la ricerca di tutto ciò che poteva sottolineare la loro
appartenenza. Il vestito, proprietà esclusiva di ogni ordine, possiede un
significato essenziale. Da qui le interminabili discussioni che
marcano,secolo dopo secolo, il suo concetto e la sua realizzazione. Tutto è
pretesto per scontri: il colore, il taglio, la lunghezza della tunica,
quella del cappuccio, la cintura, le calzature[...] Ogni riforma si
distingue per qualche novità che si presenta, ben inteso, come un
ritorno alle sorgenti e all'autenticità.
C'è tuttavia un punto sul quale sono tutti d'accordo (almeno in linea di
principio): è l'esigenza di povertà e di semplicità. Quale che sia il tipo
di tessuto - canapa, lana, pelo di capra, pelo di cammello, lino (anche se
il lino è riservato piuttosto al clero secolare, in ricordo del velo di
santa Veronica) - è sempre descritto come rude, irsuto, grossolano, in un
latino che non utilizza certo la litote: vilissima, abjectissi
ma, horrenda.. Il vestito sarà rustico a imitazione di quello dei contadini
e dei pastori: è il caso dei certosini, dei francescani, degli avellaniti.
Questa stessa esigenza di povertà implica anche che non si abbia alcuna
vergogna, anzi il contrario (eccetto i templari che sono monaci-soldati) nel
portare vestiti usati, lisi e rappezzati, di preferenza con stoffe di
tessuto diverso. San Benedetto d'Aniane, per umiltà, metteva pezze di un
altro colore alla sua cocolla, «per attirare - ci dice Hélyot - la derisione
degli altri religiosi che lo insultavano e lo trattavano come un
matto[...]». Possiamo trarne diverse lezioni.
La prima è che il gruppo, qualunque esso sia, e anche se non conta che santi
(cosa ben poco probabile), reagisce sempre di fronte alla devianza.
La seconda è che il senso della gerarchia non era molto acuto in
quell'epoca: «insultare». Benedetto d'Aniane non è cosa da poco.
La terza è che anche i santi possono spingere lontano la loro stranezza. Che
Benedetto d'Aniane in mancanza di meglio abbia variopinto la sua cocolla,
ancora passi. Ma che volontariamente e per mortificarsi si sia comportato
come precursore dei nostri barboni,prova che si può essere un grande uomo e
non sapere fin dove ci si può spingere. Del resto, la Chiesa se le ha
tollerate, non è mai stata favorevole a questo genere di stravaganze. Si
fece ben presto notare che Cristo doveva essere vestito molto bene se i sold
ati si disputarono la tunica senza cuciture che egli vestiva; e che dunque
non c'era ragione di farsi più cattolici del papa.
Altra conseguenza del voto di povertà: la lana non verrà tinta, tingere è
mentire: «Nulla tinctura, nec mendacio defucata». Il capitolo generale dei
cistercensi del 1181, decide di escludere le stoffe tinte e strane (lindi et
curiosi) cioè adatte a suscitare attenzione. È il caso anche degli umiliati,
detti «Berettini della penitenza» e in generale, di tutti coloro che
calcavano l'accento sull'ideale di povertà.
Per forza di cose, risultano notevoli variazioni all'interno dello stesso
ordine. Si pone allora il problema: è meglio porre in evidenza la povertà e
la scarsa cura per gli abiti e rischiare una certa anarchia, o assicurare
non senza qualche spesa l'omogeneità del gruppo? Tutti gli ordini finiranno
per optare per la seconda soluzione.
Un altro problema si pone con il cambiamento di stagioni. Si deve spingere
la mortificazione della carne fino a portare lo stesso vestito d'inverno
come d'estate, andare a piedi nudi, rifiutare la biancheria, o bisogna, per
dovere di discretio, agire saggiamente e tener conto del clima e degli usi
del Paese? E se si adotta la soluzione più ragionevole - non tutti i
religiosi l'hanno fatto e alcuni si sono sottoposti, negli inverni del Nord
a prove incredibili - fino a che punto si può giungere? Si porteranno
pellicce? Guanti? Stivali foderati di pelo? Pietro il Venerabile proibisce
l'uso di pelli d'agnello (agnellini) ai suoi monaci, a eccezione dei
tedeschi e dei religiosi delle regioni «vicine»: ma fino a dove si estende
il vicinato?
Il religioso porterà lo stesso vestito per il lavoro, gli uffici, il sonno,
i santi, i viaggi? Esigenze così diverse imporranno presto soluzioni
d'abbigliamento adatte alle circostanze. L'ingegnosità dei religiosi vi
pervenne con facilità. Nel campo del vestiario i regolamenti sono
straordinariamente minuti. Uno spirito mal disposto o un pò bohème
parlerebbe di mania. Ecco, a titolo di esempio qualche riga tratta da
Hélyot, che descrive l'abito dei brigidini: «Si daranno... ai religiosi due
camicie da lavoro bianche, una tunica grigia, una cocolla uguale alla quale
sono attaccati un cappuccio e un mantello sulla quale i sacerdoti porteranno
dalla parte sinistra, una Croce-Rossa in memoria della Passione di Nostro
Signore e in mezzo alla croce un pezzetto di panno bianco a forma di ostia
in memoria del Santo Sacrifìcio che essi offrono tutti i giorni...» E così
via per i diaconi, i conversi e le suore (il cui mantello sarà abbottonato
«con un nodo di legno» e la «cuffia» trattenuta «sulla sommità del capo con
uno spillone» e sopra questo «soggolo» sarà disposto «un velo di tela nero
fermato con tre spilloni...».
Come nell'esercito, i minimi dettagli hanno qui la loro importanza e il loro
significato. Il colore non costituisce che un approccio grossolano alla
realtà. L'occhio esercitato percepisce subito l'importanza e il significato
dell'uno o dell'altro segno distintivo: la cintura di cuoio nero presso i
domenicani, di corda presso i brettini e i francescani, di lino o di cuoio
di cervo presso i benedettini di Bursfeld, ecc.
Gli apostolini portavano un vestito e uno scapolare e sopra, una grande
pellegrina di stoffa grigia, alla quale era attaccato un piccolo cappuccio.
I gesuati avevano un saio bianco chiuso da una cintura di cuoio, un mantello
bruno chiaro, un gran cappuccio quadrato che ricadeva in pieghe sulle
spalle. I celliti o alessiani si distinguevano per il loro vestito di sargia
nera e lo scapolare, della stessa stoffa, al quale era attaccato un
cappuccio. I boniti portavano una tunica, una cappa o cocolla in stoffa
solida di lana o di canapa con una cintura. Il vestito dei domenicani,
all'origine canonici regolari, è di lana bianca e la cintura di cuoio. Sulla
tunica e sotto il cappuccio, lo scapolare anch'esso di lana bianca, più
corto della tunica. La cappa è nera, senza maniche, con un cappuccio nero.
Quello dei cordiglieri - che sono francescani - comprende in particolare un
piccolo cappuccio, un mantello di grossa stoffa bruna, grigia o nera
(secondo le epoche) più una cintura di corda a tre nodi. In origine, il
vestito francescano era tagliato a forma di croce: «In manicarum et capiti
extensione fìguram crucis praesignamus».
Altri segni permettevano di identificare sul campo l'ordine religioso con il
quale si aveva a che fare. Una croce di lana rossa sulla falda sinistra del
mantello? Si trattava di un templare. Una «stella rossa a cinque punte con
un piccolo cerchio blu intorno»? i betlemmiti. Una croce e due gigli? I
celestini di Francia. Una croce di Malta in seta rossa con sopra una stella
a sei punte? I crocigeri della stella rossa.
I camaldolesi di Murano portano «un cappello bianco foderato di seta nera
fino ai bordi» gli umiliati un berretto di grossa lana grigia, i gesuati
«una cuffia o cappuccio bianco», che usano portare sulle spalle quando hanno
la testa scoperta. I carmelitani della congregazione di Mantova si
distinguono dagli altri carmelitani per un cappello bianco (da cui il
soprannome «del capei bianco») e una cuffia di traliccio con interno nero,
che giunge fino ai bordi...
Ecco direte: è chiaro. Secondo che si appartenga a uno o ad altro ordine o
congregazione si sarà vestiti in modo ben definito, che non lascia alcun
dubbio sull'appartenenza. Sarebbe conoscere molto male la natura umana
credere che così fosse. Il monaco porterà un cappuccio: ma di quale
lunghezza? Il fondatore o i suoi successori non hanno sempre pensato di
precisarlo. Da questo interminabili discussioni su quale deve essere il vero
cappuccio. Ma non c'è solo la lunghezza, c'è la forma. Per esempio i minori
scalzi alla fine del XV secolo portavano un cappuccio quadrato, ma lo
rendevano a punta come quello di San Francesco. E poi, non si sa come, per
rispetto alla regola (puritati regulae, rectitudinem regulae) ma anche delle
tradizioni, apparivano differenze in seno allo stesso ordine, da una
provincia all'altra: i camaldolesi di Francia portano un cappuccio a punta e
uno scapolare che scende fino alle ginocchia mentre i camaldolesi di San
Michele di Murano hanno un cappuccio tondo e uno scapolare lungo quanto
l'abito. Quando si parla di grandi e di piccoli agostiniani, di grandi e di
piccoli carmelitani il più delle volte è a causa delle dimensioni strette o
larghe dei loro abiti.
Tutto questo scatenava, certamente, epiche discussioni tra i fratelli tutti
persuasi gli uni più degli altri di avere ragione. I cappuccini,
soprattutto, uomini focosi quant'altri mai, giunsero a intentare processi ad
altre congregazioni francescane per il colore dell'abito, per la forma dei
sandali di cuoio, del cappuccio, della barba, del bianco cordone che serviva
come cintura, ecc. Detto questo, l'attaccamento dei religiosi al loro abito
è commovente. Il povero papa Gelasio II, un monaco di Montecassino che regnò
soltanto un anno (dal 24 gennaio 1118 al 28 gennaio 1119) e fu oggetto di
mille minacce e di mille angherie da parte dei Frangipani e dell'imperatore
Enrico V, sentendo avvicinarsi la fine, ritornò in Francia e morì nel suo
saio, a Cluny, sdraiato sul suolo.
L'abito caratterizza così bene il religioso che servirà molto spesso a
definirlo: la cintura di corda dei francescani li farà chiamare cordiglieri;
il grigio uniforme dei vallombrosani, monachi grisaei; il beige dei fratelli
della carità, frati bigi, che la forma dello scapolare aveva fatto
soprannominare anche billetes con allusione agli stemmi nobiliari; il
curioso mantello iniziale dei carmelitani fratres barrati o di pica; lo
scapolare in tela di sacco dei fratelli della penitenza, saccati o fratelli
socco; i mantelli dei serviti della Santa Vergine, i bianco-mantati[...]
Altri segni distintivi: alcuni potevano camminare solo a piedi, ad altri era
permesso il cavallo. A condizione, per gli ospitalieri di Sant'Antonio di
Viennois,che quest'ultimo porti una campanella al collo. Ad alcuni (i
trinitari), è concesso solo l'asino, per umiltà: per questo verranno
soprannominati i maturini. Nel 1252 papa Innocenzo IV dispensa i boniti dal
portare il bastone «alto cinque palmi, fatto a forma di stampella» che era
stato loro imposto per differenziarli dai minori. Nel 1255 papa Alessandro
IV ingiunse agli agostiniani di por
tare questo stesso bastone, decisione che fu del resto abrogata l'anno
successivo[...]
Accadde per gli abiti dei religiosi quello che accade per tutte le cose
umane: alcuni finirono nelle stranezze (i francescani della Cappucciola
condannati nel 1434 per questo motivo - tra gli altri!). I cluniacensi
nascosero - Dio solo sa perché; a meno che non fosse per timore di rivelare
la loro identità - lo scapolare stretto che li distingueva. I più stolti
seguirono la moda dei laici, portando scarpe strette e grandi mantelli
chiamati huque secondo l'usanza delle damigelle delle Fiandre (cujusmodi
flandrendes domicellae utuntur) coprendosi di colori vivaci e di cappucci a
forma di corno chiamati coquelucha con riferimento, penso, alla cresta del
gallo, cavalcando pubblicamente con la spada sul fianco.
Sui monaci v'è tanto ancora da scrivere, pertanto restate ancora con noi
su questo schermo (non cambiate canale) e vi assicuro anche un po di di
vertimento oltre che una sana lettura.
Guardrail